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 2012  aprile 12 Giovedì calendario

SONO RICCO MA CHE COLPA NE HO

(Intervista a Patrizio Bertelli)

Un lavoraccio essere ricchi, in Italia. Occhi puntati, invidia sociale. Ci s’indigna perché il patrimonio dei primi dieci Paperoni assomma a 50 miliardi di euro, quanto 3 milioni di italiani poveri. C’è la sinistra che invoca la patrimoniale sulle grandi ricchezze per raddrizzare il debito pubblico. I neo solidaristi alla Warren Buffett del "tassiamoci una tantum per l’Italia". I goderecci che amano esibire, ma sono inibiti dallo stile tecno-sobrio del governo Monti. Gli eterni sospettati di evasione fiscale e fughe off shore. Insomma, un purgatorio.
Un recente paper di Bankitalia ricorda che è sempre più il patrimonio, e non il reddito, a costruire ricchezza. Qual è oggi, con la crisi, la responsabilità sociale del super-ceto? Partecipano al bene comune, i megaimprenditori del postindustriale, della finanza, del lusso? "L’Espresso" ha cercato uno di loro per discuterne. E poiché, secondo la classifica della rivista "Forbes", la coppia Prada-Bertelli, con un patrimonio congiunto di 7,8 miliardi di euro (nella tabella della pagina a fianco i valori della rivista americana sono espressi in dollari), è al terzo posto assoluto dietro a Michele Ferrero (14,2) e a Leonardo Del Vecchio (8,6), ci ha provato con Patrizio Bertelli, l’amministratore delegato del gruppo Prada. Bertelli di interviste ne fa poche, ma nei suoi uffici minimalisti di Milano è di buonumore: il bilancio 2011 è il migliore di sempre, e sta per ripartire la sfida di Luna Rossa all’America’s Cup.
Nel lontano 1988, prima sfilata di Prada, si immaginava che sarebbe diventato la terza famiglia più ricca, con Berlusconi sesto?
"Non abbiamo lavorato per scalare le classifiche. Ma pensavamo già allora, questo sì, di creare un marchio globale".
Scusi la franchezza, ma com’è che Miuccia Prada è più ricca di lei?
"Faccia vedere... Ah, la Miuccia 5,1 e io 2,77... C’è aggregata la parte che compete alla sua famiglia".
È più difficile oggi essere super ricchi?
"Per troppo tempo i ricchi in Italia hanno minimizzato le proprie ricchezze. Perché la forbice sociale c’è, e può dare noia. Ma la cosa da sottolineare oggi è che questi grandi ricchi hanno creato ricchezza qui in Italia, più di quanto si dica. Un’azienda come la nostra ha in Italia quasi 4 mila dipendenti e un indotto di 15 mila. Perché io imprenditore dovrei minimizzare questo successo? Non chiedo la riconoscenza, come avveniva con i titoli nobiliari nell’Ottocento; ma neanche vivo la colpa o il disagio. La ricchezza vera è da premiare".
L’idea della ricchezza come colpa, nell’Italia cattolica, è dura a morire.
"Non so se sono i cattolici. La colpa è spesso attribuita a ricchezze nate per motivi speculativi. I casi di poca trasparenza, i "furbetti" hanno inquinato il punto di vista dell’impresa. Spesso c’è il sospetto: quello ha fatto i soldi perché ha evaso le tasse; ma non è sempre così".
Le cronache autorizzano il sospetto.
"Sì. Ma poi c’è la componente ideologica. Prenda l’articolo 18. Se n’è parlato prima ancora della riforma del lavoro; bisognava fare il contrario: impostare la riforma del lavoro, poi arrivare all’articolo. Le parti sociali pensano prima all’incapacità di generare ricchezza, e ai licenziamenti facili come conseguenza. È tipico di un Paese fermo. Senza slancio verso lo sviluppo".
E siamo al governo Monti. Tecnico, politico, di emergenza, lei come dice?
"Governo di salute pubblica".
Le sue prime valutazioni?
"Il governo Monti ha una grande funzione: ha raffreddato certe animosità politiche e affrontato il tema urgente della modernizzazione dello Stato. Grazie anche al presidente Napolitano, ha impostato il rinnovamento del sistema economico e pensionistico, e rallentato i giudizi negativi sull’Italia nel mondo: molto importante. Ora i grandi partiti, Pdl e Pd, sono un po’ nella terra grigia, costretti a riflettere: in che modo tornare ad attivarsi nella fase politica successiva".
Il famoso "sviluppo economico" lei già lo vede stagliarsi all’orizzonte?
"Per il momento il governo Monti sta impostando la cura".
Dalle ultime statistiche, solo l’1 per cento degli italiani dichiara al fisco oltre 100 mila euro l’anno. Il 50 per cento dei cittadini è sotto i 15 mila di imponibile. È un Paese di poveri o un Paese della menzogna?
"Anzitutto è un Paese senza senso civico. L’evasione del fisco è solo la tappa finale. È chiaro che l’Italia è un Paese più ricco di quanto dicano le statistiche".
Vent’anni fa guidavano la classifica gli Agnelli, i siderurgici, l’industra classica. Oggi prevale il made in Italy, moda, alimentare, finanza, grande distribuzione.
"Ci siamo arrivati in ritardo. Del resto, l’Italia ha dato il voto alle donne solo nel 1948. La forza è stata la base artigiana delle nostre medie imprese. Ma troppo poche aziende, dagli anni Ottanta, hanno saputo fare il salto internazionale".
Voi avete Amsterdam come sede di Prada Holding. È per un vantaggio fiscale?
"Poteva essere l’Austria. Se la Prada spa fa dividendi, i capitali vanno sulla holding; se non li fa no. È un falso problema. La Prada spa è un’azienda italiana e paga le tasse in Italia; e così le società estere nei rispettivi Paesi".
La scelta di quotarvi a Hong Kong?
"Si va dove ci sono più capitali. Nel 2011 sul mercato principale di Milano si è quotata una sola azienda, a Hong Kong 80. Il Far East è il nostro primo mercato, poco sotto c’è l’Europa. È dal 1985 che lavoro in Giappone. Ancora nel 2005 il "Corriere della Sera" descriveva la Cina come un Paese di copiatori. Qualche partito chiedeva sanzioni anti-Cina. Demonizzare l’avversario per paura è un errore: bisogna capirlo e lavorarci, sfruttando il proprio know-how".
Torniamo a Roma: meglio Passera o Tremonti?
"Tremonti non lo conosco. Passera sì. È uno che studia molto. Ma non gli si può chiedere il coniglio bianco dal cappello in sei mesi. Mi aspetto da lui un piano intelligente: da lasciare a chi verrà dopo".
E se si presentasse alle elezioni?
"Questo deve chiederlo a lui".
La sinistra insiste: tassa patrimoniale. In Francia il candidato Hollande propone 75 per cento di aliquota sopra il milione di euro. Se lo immagina, in Italia?
"Nooo. Io non faccio parte di Confindustria, ma penso che una patrimoniale ragionevole la categoria molto benestante la accetterà sicuramente".
Sopra quale livello? Ci dia un numero.
"Dico solo una patrimoniale una tantum a fronte di un impegno: abbattere il debito. Se per cattiva gestione il debito tornasse a crescere, sarebbero soldi buttati. Dev’essere una misura che si accompagna ad altre azioni: liquidazione di beni immobiliari dello Stato, riduzione dei costi della politica...".
C’è oggi una vera responsabilità dei grandi ricchi verso la comunità?
"In queste aziende, da Del Vecchio in giù, c’è tanto rispetto della forza lavoro. E ricordiamoci una cosa: i lavoratori, in Italia, non sono solo i metalmeccanici della Fiom, come appare dai telegiornali. I lavoratori non metalmeccanici sono il triplo, e di loro non si parla mai. Sempre catene di montaggio, in tv, mai un’azienda di mobili o di fashion".
Ma quanti sono a restituire qualcosa alla società? Voi operate nello sport e nell’arte, con Luna Rossa e la Fondazione Prada. Non siete in tanti a fare lo sforzo.
"Non do giudizi. So che qualcuno dice: non lo faccio perché non voglio che si parli troppo di me. Io e la Miuccia no: non abbiamo pensato prima all’effetto positivo o negativo, ma alle nostre passioni, che sono passioni autentiche. Quando Luna Rossa fu battuta dai neozelandesi, ancora mi ricordo il servizio irridente di Mentana e Canale 5, una cosa incredibile. Lasciai perdere, ma questa è un po’ l’Italia...".
Realizzate la nuova Fondazione Prada per lasciare qualcosa a MiIano?
"Mah, la Miuccia è di Milano, io son toscano. La parola mecenate non mi piace, la trovo classista, superata. Noi abbiamo un’altra idea, ci va di condividere i nostri interessi. Quanto alla Coppa America, abbiamo deciso dopo la quotazione in Borsa: facciamola, anche perché un challenger come Mascalzone Latino si è ritirato, che figura fa l’Italia? Andiamo noi, tanto più che quattro sedi di world series su otto sono in Italia".
Il centenario Prada è nel 2013. Ma la Fondazione non aprirà per quella data.
"Noi non celebriamo il centenario. Guardiamo al futuro. La nuova sede aprirà nel 2014, stiamo già demolendo".
Tutto ok con l’architetto, Rem Koolhaas? Con quel caratteraccio...
"Ma no, è un amico, ha solo un linguaggio difficile. Apriremo a Milano. E a Venezia già abbiamo Ca’ Corner, per fare grandi mostre durante le Biennali".
Il lusso tira sempre, crisi o non crisi.
"Il nostro è made in Italy reale. Di made in Usa ce n’è poco. La Francia faceva il lusso già nel primo Ottocento; noi siamo arrivati tardi, ma bene".
Montezemolo ha il lusso Ferrari. Lei ci crede che andrà in politica?
"In prima persona non credo. Tutti gli amici lo sconsigliano".
E lei, i partiti l’hanno corteggiata?
"Più volte. Ma non voglio. Politica e impresa sono attività troppo diverse".
Il governo Monti è un vantaggio per Prada rispetto a Berlusconi?
"A noi non cambia nulla. Noi dallo Stato non prendiamo niente".
Lei, berlusconiano, mai.
"No. Io non l’ho mai conosciuto. Ha grandi capacità espressive e di lavoro. Ma ha commesso errori gravi e non ha mai risolto il conflitto d’interessi".
Ai giornalisti hanno detto per anni: e basta col conflitto d’interessi, che noia!
"E invece per un imprenditore in politica è il problema numero uno".
Lei auspicherebbe un Monti in politica anche oltre il suo mandato?
"Se i politici hanno preso atto che devono gestire una riforma istituzionale corretta, tornino i politici. Ma se è per fare una riforma pasticciata, è bene che rimanga Monti".