Federico Fubini, Corriere della Sera 05/04/2012, 5 aprile 2012
I NUOVI TIMORI SU ROMA. IL DEBITO, LA CRESCITA LENTA E LA META DEL PAREGGIO - A 58
anni, una laurea in matematica nel cassetto, un passato da insegnante di liceo, Maria Cannata è il tipo di persona che chiunque a Wall Street definirebbe di «importanza sistemica»: è il dirigente del Tesoro incaricato di gestire un debito pubblico da 1.900 miliardi di euro. Dalle sue scelte dipende l’accesso del Paese ai mercati (quest’anno, per 440 miliardi) e la tenuta dei mercati globali, ipersensibili alle oscillazioni del quarto debitore più pesante della Terra dopo Stati Uniti, Giappone e Germania. È per questo che Cannata si preoccupa quando torna a Ostia da Via XX Settembre, sede del Tesoro nella capitale. Anche nei recenti weekend di sole, ha parcheggiato facilmente, perché i romani hanno smesso di affollare il ristorante di pesce sotto casa sua. La dirigente del Tesoro inizia a fare i conti prima di scendere dalla macchina: i consumi sono in caduta, secondo Confindustria l’economia nel primo trimestre registra un declino dell’1% rispetto agli ultimi tre mesi del 2011, i conti pubblici rischiano di peggiorare. Da qualche tempo a Newport Beach (California) gli analisti di Pimco, il primo fondo obbligazionario al mondo, dell’Italia guardano più i dati sul Prodotto interno lordo che quelli del fabbisogno. Sanno che la via d’uscita del Paese dal debito pubblico (e privato) si aprirà solo grazie alla capacità dell’economia di crescere e rendere gli oneri più piccoli rispetto ai muscoli del sistema.
Quanto a questo, niente è compromesso. Una caduta del Pil dell’1% crea sette miliardi di troppo di deficit e probabilmente quest’anno il crollo sarà dell’1,5%, molto più del -0,5% circa previsto dal governo in dicembre. Ma la bolletta degli interessi passivi sarà probabilmente più lieve rispetto alle attese, grazie alla recente caduta degli spread. La conseguenza è un equilibrio delicato: ad oggi non c’è margine per evitare l’aumento dell’Iva già messo in cantiere per il prossimo autunno, ma il cammino verso il pareggio di bilancio nel 2013 prosegue. Il problema è tutto il resto. Prima di investire sull’Italia, a Newport Beach e in molti altri grandi fondi non si guarda solo ai rendimenti, alle scelte del governo o ai dati del Pil. Pimco e i suoi concorrenti temono anche la volatilità dei titoli italiani, quanto cioè un Btp può fluttuare nel suo valore. E se adesso la volatilità resta troppo elevata, non è solo a causa della debolezza strutturale dell’economia. I fremiti del mercato, ripartiti dalla Spagna, dipendono soprattutto dall’assenza di una strategia europea per rimediare alle falle nell’architettura dell’euro emerse con la crisi. Dopo decine di vertici, i leader del Consiglio europeo non hanno detto niente sul punto d’arrivo: né sugli eurobond, né su una vera autorità o garanzia finanziaria unica.
Non si tratta di un dilemma solo teorico. La Banca centrale europea si è resa conto che oggi due piccole imprese meccaniche molto simili, altrettanto competitive, vivono in condizioni del tutto diverse secondo che siano basate in Lombardia o in Baviera. Per l’azienda tedesca il credito è facile e poco caro, per l’italiana scarso e costoso: la politica monetaria unica ha smesso di funzionare, ciascuno paga secondo gli spread sul debito pubblico di cui è pieno il bilancio delle banche della sua zona. Debito tedesco in Baviera, italiano in Lombardia.
Il paradosso è che dopo i mille miliardi di liquidità a tre anni immessi dalla Bce quest’inverno, i capitali hanno smesso di circolare attraverso i confini nell’area-euro. La mossa di Francoforte ha evitato il collasso del sistema, ma funziona solo da anestetico. In soli due mesi le banche spagnole hanno aumentato il proprio portafoglio del debito di Madrid di 50 miliardi, quelle italiane probabilmente di più con il debito di Roma. Il perverso legame siamese fra banche nazionali e debito pubblico diventa ogni giorno più forte, contribuendo alla mancanza di liquidità delle imprese se si trovano nel Paese sbagliato. Se nei prossimi mesi gli spread tornassero a crescere, gli istituti sarebbero ancora più esposti e farebbero credito ancora di meno a aziende e famiglie.
Il vuoto nel parcheggio di Maria Cannata, quanto a questo, è solo lo specchio di quello ai tavoli di Bruxelles.
Federico Fubini