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 2012  aprile 05 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA. BOSSI SI DIMETTE


REPUBBLICA.IT
MILANO- Umberto Bossi si è dimesso. "Chi sbaglia paga qualunque sia il
cognome che eventualmente porti", avrebbe detto pronunciando quella che suona come una ammissione di colpa. La decisione è arrivata nel corso del consiglio federale della Lega che avrebbe dovuto decidere la nomina di un nuovo tesoriere al posto di Francesco Belsito, costretto a lasciare dalle inchieste sull’utilizzo improprio dei rimborsi elettorali da parte del Carroccio. Le dimissioni sono state definite "irrevocabili" il partito ha deciso di sostituire il leader con un triumvirato di reggenti composto da Roberto Calderoli, Roberto Maroni e Manuela Dal Lago che dovrebbe restare in carica fino alla convocazione del prossimo congresso, probabilmente in autunno. Il consiglio federale ha quindi nominato Stefano Stefani nuovo amministratore.
"Mi dimetto per il bene del movimento e dei militanti. La priorità è il bene della Lega e continuare la battaglia", ha detto Bossi al consiglio federale secondo quanto riferito su Radio Padania da Matteo Salvini al termine della riunione. Bossi sarebbe stato quindi nominato presidente della Lega, riferisce ancora Salvini, "da un consiglio federale commosso. Nessuno ha chiesto le dimissioni di Bossi, lui è arrivato già convinto, con una scelta decisa e sofferta".
La drammatica decisione del leader giunge sulla scia di uno stillicidio di nuove rivelazioni su quanto accertato dalle tre procure che indagano sui conti della Lega. La magistratura di Napoli, ad esempio, ha scoperto che nella cassaforte di Belsito sequestrata ieri a Montecitorio c’era anche una cartella con l’intestazione "The family’. L’ipotesi degli investigatori è che i documenti siano relativi alle elargizioni ai familiari di Bossi. Gli atti sono all’esame dei pubblici ministeri di Napoli, Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e John Henry Woodcock. Trovato anche un carnet di assegni che reca la scritta "Umberto Bossi". Il libretto sarebbe stato rilasciato dalla sede genovese della banca Aletti dove sono versati i contributi elettorali della Lega. Gli inquirenti ritengono che dal conto, gestito dal tesoriere finito sotto inchiesta, provengano le somme destinate a spese personali di familiari di Bossi. Nella cassaforte sono state inoltre trovate ricevute che documenterebbero spese affrontate per le esigenze di vario genere di familiari del leader del Carroccio.
La notizia, insieme alle altre in arrivo dalla procura di Milano 2, ha dato il colpo di grazia alla leadership sempre più in bilico del Senatur, piombando su un partito già alle prese con lo schock delle prime rivelazioni sul contenuto delle inchieste giudiziarie. Nella sede del partito erano presenti oltre a Bossi, Maroni, Calderoli, Mauro, Belsito, Castelli e Salvini. All’esterno si è radunata invece una piccola folla che con grida e striscioni vuole esprimere solidarietà al leader. Una volta appresa la notizia delle dimissioni la gente ha fatto irruzione nel cortile della sede urlando cori a sostegno del leader: "Bossi non mollare", "Bossi-Bossi" e ancora "Butta fuori i traditori". Le stesse persone che hanno contestato Maroni all sua uscita da vai Bellerio. Contro l’ex ministro dell’Interno sono partiti cori "buffone, buffone" mentre gli venivano gettati sulla macchina dei volantini con riferimenti al ’bacio di Giuda’.

MATTEO SALVINI A RADIO PADANIA: UMBERTO BOSSI HA DETTO PER IL BENE DEL MOVIMENTO, PER IL BENE DEI MILITANTI, PER L’AFFETTO E IL LAVORO DI MIGLIAIA DI PERSONE CHE SEGUONO LA LEGA. CHIUNQUE FOSSE DIMOSTRATO ABBIA SBAGLIATO PAGHERA PER QUELLO CHE EVENTUALMENTE AVESSE FATTO LA PRIORITA È IL BENE DELLA LEGA E CONTINUARE LA BATTAGLIA PER DARE UN PO’ DI RESPIRO E PORTARE UN PO’ DI LIBERTà LIBERTA A NORD IO NON RICORDO LEADER POLITICI CHE APPUNTO SI SONO PRESI SULLE LORO SPALLE RESPONSABILITA EVIDENTEMENTE NON LORO. QUESTO È. UMBERTO BOSSI È STATO NOMINATO DA UN CONSIGLIO FEDERALE EVIDENTEMENTE GIUSTAMENTE COMMOSSO PRESIDENTE. NESSUNO OVVIAMENTE ERO LI HA CHIESTO LE DIMISSIONI DI UB CHE E ARRIVATO CON QUESTA SCELTA DECISA IMMAGINO SOFFERTA CHE GUARDA AVANTI, MERITO DI UMBERTO BOSSI È STATO SEMPRE QUELLO DI GUARDARE AVANTI E FARSI CARICO DI ERRORI E PROBLEMI EVIDENTEMENTE ALTRUI. SONO STATI INDICATI ROBERTO MARONI, ROBERTO CALDEROLI E MANUELA DAL LAGO I REGGENTI, COLORO CHE PORTERANNO LA LEGA NORD AL CONGRESSO

REPUBBLICA.IT - L’INCHIESTA
Negli atti dell’inchiesta sul tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito si parla "chiaramente del nero che Bossi dava tempo fa al partito". La circostanza emerge da una telefonata tra Belsito e la segretaria amministrativa del partito, Nadia Dagrada. Per gli inquirenti "ovviamente il significato del nero è riconducibile alla provenienza del denaro contante che può avere varie origini, dalle tangenti, alle corruzioni o ad altre forme di provenienza illecita e non tracciabile".
Nell’intercettazione del 29 gennaio, si legge ancora negli atti, che "il denaro poi veniva elargito senza lasciare ’traccia’ a Bossi ed ai suoi familiari ma anche all’ex ministro Roberto Calderoli". Mentre "d’ora in poi, a maggior ragione con le pressioni di Castelli (ex ministro della Giustizia) che vuole controllare le spese, Nadia dice che bisogna trovare altre soluzioni per poter continuare a fare ciò". Quindi, riassumono gli investigatori, "invita Belsito a parlare col ’capo’, Bossi, per far allontanare Castelli dal comitato amministrativo di gestione ed evitare così i controlli sui conti e sulle ’uscite’ fatte a favore di Bossi e dei suoi familiari... definendoli contabilmente: ’I costi della famiglia’".
E tra i documenti sequestrati a Roma nella cassaforte del tesoriere della Lega Francesco Belsito compare un carnet di assegni che reca la scritta ’Umberto Bossi’. Il carnet, che è relativo al conto corrente della banca sul quale vengono versati i contributi per il Carroccio, è
ora all’esame dei pm di Napoli e di Milano. A quanto si è appreso, il carnet è stato rilasciato dalla sede genovese della banca Aletti dove sono versati i contributi elettorali della Lega. Gli inquirenti ritengono che dal conto, gestito dal tesoriere finito sotto inchiesta, provengano le somme destinate a spese personali di familiari di Bossi.
Sempre dagli atti dell’inchiesta, e dalle intercettazioni delle telefonate della segretaria di Belsito, emergerebbe il fatto che Renzo Bossi e la fidanzata si sarebbero recati in via Bellerio per portare via dagli uffici i faldoni probabilmente relativi alla ristrutturazione della casa di Gemonio. Una circostanza che il diretto interessato smentisce precisando di aver ritirato documenti relativi al suo conto corrente personale.
E sempre a proposito del figlio di Bossi, negli atti delle inchieste condotte a Milano, Napoli e Reggio Calabria sull’ex tesoriere della Lega emerge un episodio legato a un presunto fascicolo formatosi sul Trota che sarebbe stato ’affossato’ da ’Silvio’. Al telefono con Francesco Belsito a parlare è sempre Nadia Dagrada. La donna parla di un fascicolo e chiede. "è vero che continuano a dire ai magistrati di mettere sotto il fascicolo?... ma prima o poi il fascicolo esce". La Dagrada spiega anche che se emergesse la vicenda del denaro passato al figlio di Bossi, quest’ultimo rischierebbe il carcere.
Sempre dalle telefonate intercettate emergono altri elementi di accusa nei confronti della gestione dei fondi della Lega. "Si evince - come annotano gli investigatori - che i revisori dei bilanci della Lega non si sono ’mai visti’ e che i bilanci vengono redatti da Nadia Dagrada ma che non vengono affatto revisionati".
Un altro capitolo riguarda la consegna di 50 mila euro a Francesco Bruzzone, segretario regionale della Lega in Liguria, per far entrare l’ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito, nel cda di Fincantieri di Genova, ruolo che effettivamente Belsito ha poi ricoperto.

CORRIERE.IT
Negli atti dell’inchiesta sul tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito si parla "chiaramente del nero che Bossi dava tempo fa al partito". La circostanza emerge da una telefonata tra Belsito e la segretaria amministrativa del partito, Nadia Dagrada. Per gli inquirenti "ovviamente il significato del nero è riconducibile alla provenienza del denaro contante che può avere varie origini, dalle tangenti, alle corruzioni o ad altre forme di provenienza illecita e non tracciabile".
Nell’intercettazione del 29 gennaio, si legge ancora negli atti, che "il denaro poi veniva elargito senza lasciare ’traccia’ a Bossi ed ai suoi familiari ma anche all’ex ministro Roberto Calderoli". Mentre "d’ora in poi, a maggior ragione con le pressioni di Castelli (ex ministro della Giustizia) che vuole controllare le spese, Nadia dice che bisogna trovare altre soluzioni per poter continuare a fare ciò". Quindi, riassumono gli investigatori, "invita Belsito a parlare col ’capo’, Bossi, per far allontanare Castelli dal comitato amministrativo di gestione ed evitare così i controlli sui conti e sulle ’uscite’ fatte a favore di Bossi e dei suoi familiari... definendoli contabilmente: ’I costi della famiglia’".
E tra i documenti sequestrati a Roma nella cassaforte del tesoriere della Lega Francesco Belsito compare un carnet di assegni che reca la scritta ’Umberto Bossi’. Il carnet, che è relativo al conto corrente della banca sul quale vengono versati i contributi per il Carroccio, è
ora all’esame dei pm di Napoli e di Milano. A quanto si è appreso, il carnet è stato rilasciato dalla sede genovese della banca Aletti dove sono versati i contributi elettorali della Lega. Gli inquirenti ritengono che dal conto, gestito dal tesoriere finito sotto inchiesta, provengano le somme destinate a spese personali di familiari di Bossi.
Sempre dagli atti dell’inchiesta, e dalle intercettazioni delle telefonate della segretaria di Belsito, emergerebbe il fatto che Renzo Bossi e la fidanzata si sarebbero recati in via Bellerio per portare via dagli uffici i faldoni probabilmente relativi alla ristrutturazione della casa di Gemonio. Una circostanza che il diretto interessato smentisce precisando di aver ritirato documenti relativi al suo conto corrente personale.
E sempre a proposito del figlio di Bossi, negli atti delle inchieste condotte a Milano, Napoli e Reggio Calabria sull’ex tesoriere della Lega emerge un episodio legato a un presunto fascicolo formatosi sul Trota che sarebbe stato ’affossato’ da ’Silvio’. Al telefono con Francesco Belsito a parlare è sempre Nadia Dagrada. La donna parla di un fascicolo e chiede. "è vero che continuano a dire ai magistrati di mettere sotto il fascicolo?... ma prima o poi il fascicolo esce". La Dagrada spiega anche che se emergesse la vicenda del denaro passato al figlio di Bossi, quest’ultimo rischierebbe il carcere.
Sempre dalle telefonate intercettate emergono altri elementi di accusa nei confronti della gestione dei fondi della Lega. "Si evince - come annotano gli investigatori - che i revisori dei bilanci della Lega non si sono ’mai visti’ e che i bilanci vengono redatti da Nadia Dagrada ma che non vengono affatto revisionati".
Un altro capitolo riguarda la consegna di 50 mila euro a Francesco Bruzzone, segretario regionale della Lega in Liguria, per far entrare l’ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito, nel cda di Fincantieri di Genova, ruolo che effettivamente Belsito ha poi ricoperto.

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CORRIERE.IT
MILANO - A vent’anni esatti dalle elezioni del ’92, prima vera vittoria politica della Lega Nord, Umberto Bossi si dimette. Le indagini sul tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito condotte dalle procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria portano alle dimissioni del Senatùr che lascia il ruolo di segretario del partito nel corso del consiglio federale di giovedì. Dimissioni «irrevocabili» accolte dal consiglio federale che sostituirà il segretario con 3 reggenti che guideranno momentaneamente il movimento.
IL TRIUMVIRATO - Ci sarà infatti un triumvirato alla testa del partito, composto dal coordinatore delle segreterie nazionali, Roberto Calderoli, dall’ex ministro dell’Interno, Roberto Maroni e dalla parlamentare veneta Emanuela Dal Lago. «Mi dimetto per il bene del movimento e dei militanti. La priorità è il bene della Lega e continuare la battaglia». Queste le parole con cui Umberto Bossi ha lasciato il suo ruolo nel corso del consiglio federale della Lega. Al Senatùr, il consiglio ha concesso comunque l’onore delle armi e lo ha nominato presidente al posto di Angelo Alessandri. Una nomina che consentirà a Bossi di continuare a partecipare alle riunioni del consiglio federale. «Chi sbaglia paga - ha detto Bossi - qualunque sia il cognome che eventualmente porti».
IL CONSIGLIO - Secondo Matteo Salvini, che ha raccontato l’ultima riunione del fondatore del partito su Radio Padania, Bossi è stato salutato «da un consiglio federale commosso. Nessuno ha chiesto le sue dimissioni, lui è arrivato già convinto, con una scelta decisa e sofferta». Una scelta «presa per difendere il movimento e la famiglia». I partecipanti alla riunione del consiglio federale della Lega hanno poi manifestato la loro commozione e l’unanime apprezzamento per la scelta compiuta da Umberto Bossi per tutelare al meglio il movimento. Ora tocca al triumvirato la gestione ordinaria della Lega, almeno fino al congresso federale che si terrà entro l’autunno. Ma all’interno del partito emergono già i primi contrasti.
I PRIMI CONTRASTI - In via Bellerio Roberto Maroni viene contestato da alcuni militanti che gli urlano «buffone». L’ex ministro viene visto da alcuni come il traditore, il «giuda» come viene soprannominato l’ex ministro dell’interno su alcuni volantini al di fuori della sede nazionale della Lega. Una rivoluzione storica, quella di via Bellerio, che registra anche la designazione di Stefano Stefani a nuovo amministratore del partito che - a differenza di Belsito - sarà coadiuvato da una società esterna per la certificazione del bilancio.
LE REAZIONI - «Sono notizie che colpiscono - ha detto Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia, commentando la notizia dell’addio di Bossi - vediamo come si evolverà la situazione». «Le sue dimissioni sono, da una parte un atto dovuto - ha commentato il leader dell’Idv Antonio Di Pietro - dall’altra un atto da rispettare». Si è detto commosso invece lo stesso Roberto Maroni: «C’è stata grande commozione quando Bossi, durante il federale, ha detto che voleva dare le dimissioni - ha spiegato -. Gli abbiamo chiesto di rinunciare ma è stato irremovibile». L’ex ministro ha poi manifestato il suo sostegno al fondatore del partito: «A Bossi ho detto: se deciderai di ricandidarti al congresso federale questo autunno io ti sosterrò».

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CORRIERE.IT - I MILITANTI
MILANO - La notizia delle dimissioni da segretario federale presentate da Umberto Bossi al consiglio federale è stata accolta con incredulità dal gruppo di suoi sostenitori, schierati con striscioni e bandiere fuori dalla sede di via Bellerio. «Non è vero, sono solo voci messe in giro da qualche maroniano, ma noi non abbocchiamo», hanno commentato all’unisono. Un gruppo di militanti ha issato uno striscione di circa trenta metri con la scritta «Bossi la Lega sei tu». I militanti e i dirigenti, arrivati per manifestare solidarietà a Umberto Bossi dopo le accuse che Belsito avrebbe utilizzato soldi del partito per coprire le spese personali della famiglia del leader del Carroccio, hanno più volte invocato il nome del segretario federale, mentre appendevano lo striscione.
I sostenitori del Senatur lo hanno atteso con fazzoletto verde al collo: tra loro il segretario provinciale di Varese Maurilio Canton e l’ex autista personale di Bossi Pino Babbini, che l’ha seguito dal 1991 al 1996. Diverse le bandiere con la scritta «Bossi», del tutto simile a quelle distribuite durante la manifestazione contro il Governo, il 22 gennaio scorso. Dopo la notizia delle dimissioni, un gruppo di militanti è anche riuscito ad entrare nel cortile, con l’idea di esprimere solidarietà al Senatur.
LA MOBILITAZIONE - «Oggi, alle 14:15, tutti in Bellerio per solidarietà con il capo, mi raccomando»: è l’sms che hanno fatto girare, giovedì mattina, alcuni dirigenti leghisti. L’invito era a raggiungere la sede federale del partito per sostenere Umberto Bossi. Lo stesso appello ai militanti è stato lanciato giovedì mattina dai microfoni di «Radio Padania» da Giuseppe Leoni, fondatore, insieme a Umberto Bossi, della Lega autonomista lombarda, nel 1984. «Dobbiamo stare tutti uniti e vicini al capo», ha detto Leoni.