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 2012  aprile 04 Mercoledì calendario

DOVE VOLANO LE VESPE - È

uscito in libreria il volume Vespe-Fatti e misfatti della cultura italiana negli anni di Berlusconi, che raccoglie i corsivi di Riccardo Chiaberge (tra cui quelli pubblicati sul supplemento culturale del Fatto Quotidiano, “Saturno”). Pubblichiamo la prefazione di Marco Travaglio e, a fianco, una delle “vespe”.
Tremate, tremate, le “Vespe” son tornate. E, si badi bene, rigorosamente al plurale. Dopo qualche mese di quarantena dovuta all’allora direttore del Sole 24 Ore Johnny Raiotta, che pensò bene di prepensionarle insieme al loro trainer Riccardo Chiaberge, reo di fare un inserto culturale troppo bello, i pungigliuti insetti cari ad Aristofane hanno ricominciato a ronzare dalle parti del Fatto Quotidiano, precisamente ogni venerdì sulle pagine di Saturno. In questo libro Riccardo ha catturato le migliori dell’ultimo anno, assieme a una scelta delle “Vespe” e dei “Contrappunti” usciti sul ‘Domenicale’ del Sole. E ha così perpetuato un genere giornalistico sempre più desertificato, in una cultura vieppiù asfittica, mafiosa e marchettara e corporativa come quella italiana: quello della stroncatura letteraria. Mi viene in mente quel che scrisse Montanelli nel post-scriptum all’ultimo volume della sua Storia d’Italia: “La cultura italiana è nata nel Palazzo e alla mensa del Principe, laico o ecclesiastico che fosse, e non poteva essere altrimenti, visto che il Principe era, in un Paese di analfabeti e quindi senza un pubblico mercato, il suo unico committente. Mentre la Riforma aveva sgominato l’analfabetismo facendo obbligo ai suoi fedeli di leggere e d’interpretare i testi sacri senza la mediazione del Pastore autorizzato a dare solo qualche consiglio; la Controriforma, che faceva del prete l’unico autorizzato interprete delle Scritture, dell’analfabetismo era stata la fabbrica, che lasciava l’intellettuale alla mercé (in tutti i sensi) del suo patrono o protettore. Il quale naturalmente se ne faceva ripagare non solo con la piaggeria, ma anche con la difesa del sistema su cui si fondavano i suoi privilegi”. Non è cambiato molto, da allora a oggi, se non in peggio s’intende. Per questo dobbiamo difendere e nutrire le rare “Vespe” in circolazione come si fa con le specie protette. E ringraziare quei pochi intellettuali (senza offesa), come Riccardo, che seguitano ad affilare il pungiglione per conficcarlo nel ventre molliccio della cultura italiana. Senza timori riverenziali né rispetto per nessuno. Nemmeno, anzi tanto-meno, per i mostri sacri. Ma senza acredine, solo con una punta di leggera perfidia tipica delle “Vespe”. Il libro tira giù dal piedistallo i santuari della Premiopoli nazionale (dallo Strega al Campiello), ma soprattutto i maîtres e le maîtresses à penser o prêt à porter italiani e stranieri. Come per esempio lo zazzeruto Bernard-Henri Lévy, che paragona l’assassino latitante Cesare Battisti a “uno ‘scrittore imprigionato’... come Gramsci, come Havel, come Solenicyn”, ironizza Chiaberge. Che poi, dinanzi alla minaccia di un nuovo romanzo di Battisti scritto in francese, sghignazza: “Siamo freschi. Non bastava l’estradizione, già chiesta dal nostro Guardasigilli al collega brasiliano: pure la traduzione ci toccherà pagare...”.
La parte del leone punzecchiato dalle vespe la fanno, naturalmente, i signorini grandi firme dell’Italia letteraria, quasi tutti de sinistra anche perché a destra si scrive pochino e si legge anche meno.
Chiaberge non risparmia nemmenoifuoriclassecomeEco,Scalfari, Mieli (affetto da “mieligalomania”), Scurati, Camilleri, Baricco (“il Salinger del Langheshire”). O Sandro Veronesi, pizzicato in un memorabile leccone d’oro su Repubblica all’ultima fatica (per i lettori ) di Uòlter Velvespe: “Veltroni dev’essere dotato di un particolare talento per la descrizione dei momenti terribili”. E, fin qui, nulla da ridire: con tutti i fiaschi che ha collezionato – infilza la vespa – ne ha di che. Ma ecco il seguito, un crescendo rossiniano: “La luce della sua scrittura si fa piena proprio laddove risulta più difficile gettare lo sguardo – la scoperta di un suicidio, il compiersi di una carneficina in uno stadio”. E giù con la “potenza narrativa che investe il lettore” e la “travolgente energia” sprigionata da ogni pagina.
Il seguito, della puntura antibuonista e di tutte le altre, lo trovate girando pagina.