Francesco Merlo, la Repubblica 4/4/2012, 4 aprile 2012
Quei fedelissimi infedeli del povero calcio truccato – Sono inediti e inauditi questi tre capi degli ultrà di Bari, «biancorossi fino alla morte», che hanno venduto la loro squadra
Quei fedelissimi infedeli del povero calcio truccato – Sono inediti e inauditi questi tre capi degli ultrà di Bari, «biancorossi fino alla morte», che hanno venduto la loro squadra. Questi tre generali dei supertifosi violenti, non sono neppure classificabili nell´antropologia del traditore. Come se si scoprisse che i tre moschettieri vendevano la regina al cardinale Richelieu. Di certo sono, questi fedelissimi infedeli di Bari, paradossi tutti italiani, impensabili tra gli hooligans inglesi o olandesi che sono manigoldi sì, ma proprio perché fanatici. E possono dunque stordirsi nella birra e nelle botte, negli striscioni aggressivi e nei canti tribali dell´irresponsabilità civile ma, con tutte le loro ribalderie, non prevedono il doppio gioco, l´uso della passione ultrà come risorsa di malaffare ai danni della propria squadra, il tradimento dell´identità certificata nei colori e nei riti arcaici dell´appartenenza etnica. A Bari invece questi ultrà pretendono di dominare la squadra al di sopra di ogni liceità e stabilire quando deve vincere e quando perdere: la squadra non esiste, è un pretesto ed è un prodotto del loro tifo. E difatti nel 2011 invasero il campo (maggio) e presero a manate e a spintoni i giocatori come assaggio di quel che avrebbero subito se non avessero vinto il derby, ma un mese prima (aprile) i capi di questi stessi ultrà avevano convocato in privato i calciatori per convincerli a perdere con il Cesena e con la Sampdoria: «Voi vivete a Bari e sapete quel che può succedervi. Anche noi dobbiamo scommettere». Dunque nella Bari delle cozze pelose e degli appalti pubblici truccati, delle escort e della malasanità, delle parentopoli all´università e al Petruzzelli, è saltata anche quella certa moralità insediata nell´immoralità del tifoso estremista. Ecco perché questi tre boss della devotissima, esaltata, Curva Nord, «una squadra un amore» , «una sola passione per tutta la vita», vanno al di là di Giuda che, in fondo, dei 12 tifosi era il meno fanatico, il più disincantato, il traditore designato. Né somigliano a Bruto che, alla fin fine, uccise per la sua Roma. Eppure c´è qualcosa di familiare nella diserzione e nel voltafaccia di Roberto Sblendorio che sa essere feroce per il suo Bari, la testa rasata, i Ray-Ban a specchio, la mano offesa per un petardo che gli lanciarono i nemici del Palermo: «sono ultrà nella vene», «Bari è la mia eterna malattia», e ancora ieri mattina per difendersi «ho trenta anni di onore, di coraggio e di fede». Appunto, Fede. Sblendorio esibisce un´epica che ricorda quella dell´ultrà Emilio Fede, che era il capo dei maniaci e delle teste calde berlusconiane, l´inventore del Tg adorante, e adesso è il nome che si è mutato nel suo contrario, il servitore che si è servito, l´asino fatto mulo che ha preso a calci il padrone. E c´è qualcosa di già visto nel duro e cocciuto Alberto Savarese detto ‘il parigino´: «sono un ultrà della bella vita» dice di sé. Capelli lunghi, occhiaie marcate, ‘il parigino´ ha indetto un´assemblea per lanciare l´azionariato popolare a favore del suo Bari, ha srotolato uno striscione in cirillico offrendo la squadra a un miliardario russo e sa controllare e suscitare le emozioni collettive che prendono alla gola i tifosi organizzati di ‘Ultras 76´, sezione barese di ‘Stampo italiano´, curva nazionalista, «il bianco rosso non è un colore ma un valore», e infatti gli slogan sono tutti idealisti: «Lecce merda». Ecco: in lui c´è qualcosa di Scilipoti che fu altrettanto duro e cocciuto ultrà dei valori dell´Italia di Di Pietro prima di scoprire che anche il mutuo della casa è un valore. E in Lello Loiacono detto Pannocchia, il sopracciglio sinistro rasato a solchi, guerrigliero della restaurazione etica del calcio, c´è il tesoriere della Margherita Luigi Lusi, che era un ultrà dell´etica finanziaria della politica e un capo ultrà dei boy scout. E c´è anche il tesoriere della Lega, Francesco Belsito, che era un ultrà nella guerra contro Roma ladrona… Non solo dunque questi ultrà corrotti di Bari non somigliano alle bestie dell´inferno, ma somigliano tantissimo a molti altri corrotti dell´Italia di oggi e dunque agli ultrà della politica, ma anche della religione, delle professioni, e a tutti quelli che riempiono il vuoto delle loro vite con la militanza estremista, non passione ma mestiere: ultrà come professione. Del resto solo nel calcio italiano i presidenti delle società cedono in appalto agli ultrà i parcheggi, le trasferte, le magliette, i pacchetti di biglietti, la gestione degli stadi. E se tutti scommettono e dirigenti e giocatori truccano le partite, perché non dovrebbero scommettere e imbrogliare anche questi professionisti dell´estremismo organizzato? Ecco dunque che tra gli ultrà italiani ci sono queste originali evoluzioni, questi inimmaginabili corrotti che come le spie non hanno bandiera se non il malaffare. Sono gli ultrà della truffa consumata la domenica in mezzo al frastuono e ai turbini di fumo.