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 2012  aprile 04 Mercoledì calendario

Debito pubblico aumentato per colpa dei Prof – Anche la leggenda del santo domatore degli spread si infrange contro il muro dei numeri

Debito pubblico aumentato per colpa dei Prof – Anche la leggenda del santo domatore degli spread si infrange contro il muro dei numeri. Da quando Mario Monti è a Palazzo Chigi il debito pubblico italiano è peggiorato sotto qualsiasi profilo. Innanzitutto alla data del 31 marzo scorso è aumentato di 35 miliardi di euro rispetto a prima Poi è diventato più fragile e vulnerabile, perché la sua vita media si è lievemente accorciata dopo lunghi anni in cui il trend era stato l’esatto opposto. Infine è diventato assai più costoso, perché si spende in interessi assai più di prima, ma anche di più rispetto al governo di Silvio Berlusconi. Se si paragonano infatti i 137 giorni in cui ha guidato il Tesoro Monti con gli ultimi 137 giorni di Giulio Tremonti, gli spread erano inferiori prima. L’unica curva davvero discendente – fino a toccare i livelli del gennaio 2011 – è stata quella del Rendistato censito dalla Banca d’Italia, che in sostanza rileva i tassi di interesse sui vari titoli al mercato secondario: è il sostanziale indice della speculazione. Questo a Monti è riuscito: tenere a bada gli speculatori. Tutto il resto - e cioè tutto ciò che incide davvero sui conti dello Stato e sui parametri di finanza pubblica previsti dai trattati europei - è stato un vero flop. Vediamo come. Dal 15 novembre del 2011 al 31 marzo 2012 sono scaduti titoli di Stato di varia natura per 152,940 miliardi di euro. Monti ne ha rinnovati in quantità maggiore dello scaduto: 188,288 miliardi di euro. È grazie a quella differenza, di circa 35,3 miliardi di euro che è aumentato il debito pubblico italiano. E naturalmente con essa la spesa per interessi, che al di là delle leggende in valore assoluto non era nemmeno una cifra fantasmagorica. I rendimenti dei titoli in scadenza comportavano una spesa per interessi già calcolata nel bilancio dello Stato di 5,185 miliardi di euro. Un po’ perché gli interessi alle aste sono saliti, un po’ perché sono stati emessi più titoli di quelli scaduti, la nuova spesa per interessi è diventata in questo periodo di 7,46 miliardi di euro. È cresciuta cioè di 2,274 miliardi di euro (e quindi peggiorerà il fabbisogno) e in valore percentuale del 43,86%. Se il perimetro fosse stato lo stesso (titoli di nuova emissione numericamente identici a quelli in scadenza) la spesa per interessi sarebbe stata di 6,059 miliardi di euro, con un incremento assoluto di 874,3 milioni di euro e percentuale del 16,86%. Quei 188,2 miliardi di euro di Bot, Btp, Cteu emessi da Monti sono solo una parte delle aste avvenute dal 15 novembre: ci sono altri 48,5 miliardi di titoli offerti in sostituzione parziale di Btp che non erano in scadenza e di cui prendevano al vita residua. Le operazioni sono state fatte perché c’era un disperato bisogno di liquidità, ma è facile capire come anche lì gli interessi offerti in questo periodo siano stati assai superiori a quelli che si pagavano. La spesa per interessi è quindi sicuramente cresciuta di più delle cifre ufficiali appena fornite. I numeri dunque dimostrano che come molte altre cose di questo governo, anche la furiosa battaglia contro gli spread appartiene assai più alla leggenda che alla realtà. Gli stessi numeri fanno comprendere come a parità di titoli di Stato e con lo stesso trend di emissioni, la maggiore spesa in interessi su base annua sarebbe di 2,4 miliardi di euro. Con interessi medi comunque alti. Questo significa che se anche il trend di salita degli spread fosse proseguito a novembre, il problema vero non sarebbero stati i conti pubblici o la spesa per interessi. Poteva salire nel 2012 di 5-6, perfino di 8 miliardi di euro. E sarebbe bastata per domarla una manovra finanziaria del valore di meno della metà del salva-Italia di Monti. Certo, gli spread non erano solo un fatto contabile, ma la crudezza delle cifre riporta i problemi anche alle loro reali dimensioni. Con questo ritmo di emissioni qualche preoccupazione dovrebbe causare lo stato della finanza pubblica. Il Tesoro dovrebbe ridurre le aste una volta passato il mese di aprile (che ha circa 43 miliardi in scadenza) e prima della tranche di luglio provare almeno a ridurre questa crescita di debito pubblico (l’unica crescita che si è vista da quando c’è Monti). Ma se non ce la facesse, prima o poi l’Europa obbligherà l’Italia a una nuova manovra correttiva. E saranno guai per tutti.