Stefania Tamburello, Corriere della Sera 5/4/2012, 5 aprile 2012
DAL NOSTRO INVIATO
FRANCOFORTE — Una famiglia su cinque non arriva a fine mese. Il suo reddito non basta a coprire i consumi anche perché in molti casi funziona da ammortizzatore sociale per chi all’interno del nucleo, i più giovani innanzitutto, perde o non trova lavoro.
La crisi e la disoccupazione, giovanile soprattutto. Se a Francoforte il presidente della Bce, Mario Draghi ribadisce l’esigenza di allargare le maglie del lavoro, in Italia il vicedirettore generale della Banca d’Italia, Anna Maria Tarantola illustra i numeri dei danni provocati dalla recessione che ha ridotto non solo i redditi ma anche la capacità di risparmio degli italiani.
«La ricchezza accumulata, finanziaria e reale, è stata in parte utilizzata per far fronte alle difficoltà economiche. Si sono ampliati i divari: il numero di famiglie in condizione di povertà, è aumentato». Durante la fase acuta della crisi, dice Tarantola, nel 2008-09, la caduta dei redditi ha raggiunto in Italia il 4%, a fronte di una riduzione del Prodotto interno lordo (Pil) del 6%. Crollo che arriva al 7,5% procapite rispetto alla primavera del 2008, prima della crisi. Nella maggior parte degli altri paesi avanzati, il reddito disponibile lordo reale delle famiglie «è invece cresciuto», anche se nel confronto internazionale le italiane risultano le più ricche, anche per il calcolo della diffusione della casa di proprietà. E senza contare che la distribuzione della ricchezza è comunque disomogenea.
Ma è la famiglia-ammortizzatore sociale che fa pensare: la Banca d’Italia stima che nella tarda primavera del 2009, circa 480 mila famiglie abbiano sostenuto almeno un figlio convivente che aveva perso il lavoro nei dodici mesi precedenti, utilizzando gli stipendi o le pensioni. E comunque la crisi ha ampliato il divario tra la condizione economica e finanziaria dei giovani, che appaiono comunque in ritardo nell’intraprendere percorsi di vita autonomi per la mancanza di sicurezza nel lavoro, e quella del resto della popolazione: tra il 2008 e il 2010 la quota di famiglie povere in base al reddito e alla ricchezza è cresciuta di circa 1 punto percentuale per il campione nel suo complesso e di circa 5 punti per le famiglie dei giovani.
Nel biennio 2008-10 la quota di famiglie indebitate è diminuita dal 24 al 21%. Ma tale fenomeno è dipeso da una minore domanda di prestiti e da una maggiore selettività nella concessione dei finanziamenti da parte delle banche, che si è riflessa in un aumento della quota di famiglie che non hanno ottenuto, in tutto o in parte, il credito richiesto.
Tocca alla politica economica, dice Tarantola, a dare impulso alla crescita dell’economia, che da sola può risolvere i problemi della disoccupazione e della povertà. Occorre ridurre «ingiustificati vincoli e restrizioni alla concorrenza» e a definire «un più favorevole contesto istituzionale per l’attività delle imprese e dei lavoratori». I provvedimenti presi dal governo, secondo Tarantola, «hanno esattamente questo obiettivo».
S.Ta.