Francesco Battistini, Corriere della Sera 04/04/2012, 4 aprile 2012
L’HAPOEL IRONI E’ IL CHIEVO D’ISRAELE. IL MIRACOLO CALCISTICO FIORITO TRA LE BOMBE — I
campioni siamo noi. E i bersagli, sempre noi. L’altra sera su Selinger Street hanno sparato i fuochi: artificiali, per una volta. E festeggiato i cannonieri: quelli che non fanno male. E s’è inneggiato a chi aveva ammazzato, ma solo il campionato. C’erano i botti, che non sono una novità, però nessuno è corso nei rifugi antimissile. E s’alzavano i cori, invece delle solite sirene. Caroselli di macchine, salti e abbracci. Hanno anche appeso sul passeggio uno striscione un po’ retorico: «La storia più bella del calcio». E cucito un po’ d’ironia su una sciarpa biancoblù, in un’hamburgeria del centro: «Hezbollah, provate a tirare in porta da dove siete!».
Granate & pallonate. Il calcio alla guerra stavolta l’hanno tirato da uno sperduto angolo che in Israele è il sinonimo della sfiga: Kiryat Shmona, 23 mila sefarditi schiacciati tra l’esplosivo confine col Libano e le contesissime alture del Golan, un tempo nominata «la città degli otto» perché otto ebrei vi furono uccisi dagli arabi negli anni 20; poi diventata «la città del massacro», perché fu una strage in questi boschi a scatenare la prima invasione israeliana del Libano, anni 70; quindi soprannominata Kiryat Katyusha, perché negli 80 e nei 90 non v’era posto dove gli sciiti libanesi lanciassero più razzi... Oggi chiamata da qualche giornalista sportivo «il nostro Chievo», perché è riuscita in un miracolo: l’Hapoel Ironi di Kiryat Shmona, piccolo club fondato dodici anni fa e solo da sei promosso in serie A, l’altra sera ha vinto lo scudetto con cinque giornate d’anticipo. Staccando di 16 punti e oltre i favoriti ricconi dell’Hapoel e del Maccabi di Tel Aviv: «Una cosa mai vista», è incredulo il presidente, Izzy Sheratzky, uno che ha fatto i soldi vendendo gps e orientandosi nel calciomercato. «Siete la dimostrazione che si può ottenere tutto ciò che si vuole — ha scritto alla squadra il premier Bibi Netanyahu, in un messaggio di congratulazioni —. Questa è una festa per tutto il popolo d’Israele».
È la storia di Davide e Golia: un classico, da queste parti. L’Hapoel Ironi farà i preliminari di Champions. E qualcuno già si chiede se il Barcellona o il Milan accetteranno mai di venire a giocare in questo stadio da 4 mila posti, su un lato una rete da cantiere che recinta un cumulo di pietre, quattro chilometri dalle batterie di Katyusha degli Hezbollah e dai campi profughi dove s’è installata Al Qaeda. Nel 2006, seconda guerra del Libano, su Kiryat Shmona piovvero 5 mila razzi in un mese, furono danneggiate 2 mila case (praticamente tutte), metà della popolazione se ne andò via. Non c’è ferrovia, l’aeroportino è deserto da una vita, le strade sono tortuose, le scuole chiudono spesso per motivi di sicurezza, i giovani sono disoccupati. E quando il governo israeliano ha messo a punto il nuovo sistema antimissile Iron Dome, è venuto a testarlo qui. «Anch’io all’inizio ero un po’ teso — rassicura l’argentino David Solari, 26 anni, uno dei quattro stranieri, fratello minore di quel Solari che giocava nel Real Madrid e nell’Inter —. Ma quando sei qui, e conosci le cose e la gente, tutto diventa più facile. Ora penso che sia un grande posto». Uno che se ne andrà è Ran Ben Shimon, l’allenatore. Non per paura: non gli hanno dato l’aumento che chiedeva. «Un po’ mi spiace — ammette —. Ma quel che conta è che l’Hapoel vada avanti. Ha dato a questo paesino la voglia di non mollare». Ci sono punti che salvano la vita, e non sono di sutura.
Francesco Battistini