Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 04/04/2012, 4 aprile 2012
IL RESTAURO SVENTURATO DEL TEATRO DI POMPEI
Il maestro Riccardo Muti, appena ha un attimo di tempo, dovrebbe precipitarsi a Pompei. E una volta lì andare a vedere cosa è oggi il Teatro che lui, la sera del 10 giugno 2010, inaugurò nella sua nuova struttura edilizia dopo la ristrutturazione compiuta sotto la supervisione (sic…) del commissario della Protezione civile Marcello Fiori e compiuta dalla Caccavo Srl di Pontecagnano, la ditta familiare di una certa Anna Maria Caccavo, assai apprezzata dall’allora braccio destro di Guido Bertolaso.
Dovevano costare 449.882 euro più Iva, quei lavori, definiti nel cartello del cantiere «Restauro e sistemazione per spettacoli»: ne costarono undici volte tanto. Cioè 5 milioni e 966 mila. Quasi che il cemento dei cordoli lasciato a vista come nelle palazzine della più sgangherata periferia di Casal di Principe e i mattoni di tufo, tradizionalmente usati per gli ovili sugli Appennini centro-meridionali, avessero avuto un’impennata superiore a quella del petrolio al mercato del Brent. Un intervento sventurato. Che ha sfigurato per l’eternità (difficile adesso andare a togliere le basi di cemento di ogni gradino col martello pneumatico…) quello che fu uno dei gioielli di Pompei.
Riccardo Muti, quella sera, sotto le luci che illuminavano lui e i giovani musicisti dell’Orchestra giovanile Luigi Cherubini del teatro San Carlo, non se ne accorse, di quanto fossero stati invasivi quei lavori. Ma un uomo come lui, che in questi anni ha condotto tante e nobili battaglie in nome della cultura, almeno una cosa deve farla: alzare la voce per chiedere che, come minimo, siano rimossi finalmente gli osceni container sistemati dentro il teatro stesso, alle spalle della scena.
Grigi, bruttissimi, immensi, furono messi lì come camerini per gli artisti per quella inaugurazione salutata sul sito Web della sovrintendenza come «un risultato da celebrare» e un «messaggio di positività e di fiducia per le nuove generazioni». In quel momento ministro dei Beni culturali era Sandro Bondi, l’Inter di José Mourinho vinceva tutto mettendo a segno il Triplete, Gordon Brown aveva appena lasciato Downing Street a David Cameron, il premier spagnolo era José Zapatero e il direttore del fondo monetario internazionale Dominique Strauss-Kahn pareva ancora lanciatissimo come candidato a prendere il posto di Nicolas Sarkozy. È cambiato il mondo, da allora. Eppure, quasi due anni dopo, quei bruttissimi container sono rimasti lì, ad arrugginire e a fare inorridire tutti i turisti che si affacciano a Pompei.
E magari, già che c’è, il grande direttore d’orchestra così attento alla cultura, vada a dare un’occhiata alla domus del Poeta Tragico. E provi a leggere quanto sta scritto sotto il cane del celeberrimo mosaico all’ingresso. Si accorgerà che la scritta «Cave Canem», attenti al cane, tra i simboli di Pompei, non si legge quasi più. Ci vorrebbe un intervento immediato di un mosaicista. Peccato che l’ultimo sia andato in pensione il 1° aprile 2001, undici anni fa.
Gian Antonio Stella