Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 04/04/2012, 4 aprile 2012
LA DIFFICILE BATTAGLIA DEI REPUBBLICANI BRITANNICI
Posso comprendere i conservatori, ma non capisco come mai i laburisti e i liberali inglesi nei loro programmi politici non perseguano anche una finalità repubblicana. Perciò Le chiedo: non crede che nella secolare democrazia britannica oggi si noti molto l’assenza di un intraprendente Partito Repubblicano che ambisca a spodestare l’anacronistica e alquanto pittoresca monarchia?
Giovanni Papandrea
giovannipapandrea@iol.it
Caro Papandrea, in Inghilterra (la Scozia è un caso a sé) esiste un’associazione repubblicana («Republic») che può contare su circa 14.000 aderenti e l’appoggio di 14 deputati, prevalentemente laburisti. Nel suo sito sostiene che la monarchia è una istituzione arcaica, irresponsabile e dispendiosa. Il costo della famiglia reale per le tasche del Paese non sarebbe quello denunciato da Palazzo Buckingham (41,5 milioni di sterline), ma una somma ben più elevata: 183,3 milioni. In occasione del matrimonio di William e Kate, l’anno scorso, Republic ha organizzato una festa alternativa, ma non conosco il numero dei partecipanti. In altri tempi l’organizzazione avrebbe violato il Treason Felony Act del 1848 che prevede l’ergastolo per chi faccia propaganda scritta a favore della causa repubblicana. La legge non è stata espressamente revocata, ma le corti britanniche riconoscono che è in contraddizione con quella sui diritti umani del 1998 ed è quindi inapplicabile. Il seguito di cui Republic gode nel Paese non è comunque tale da minacciare le sorti della famiglia Windsor.
Eppure gli inglesi e i gallesi repubblicani sono più numerosi di quanto non appaia a un primo sguardo. Lo zoccolo duro sarebbe rappresentato dal 20% della società, ma un sondaggio del Guardian, realizzato tre anni dopo la morte della principessa Diana, ha rivelato che gli inglesi appassionatamente e devotamente monarchici sarebbero stati allora soltanto il 44% delle famiglie interpellate. In questi ultimi anni il tasso di apprezzamento ha subito forti oscillazioni, dovute principalmente ai divorzi e alle scappatelle di casa reale, ma la pubbliche apparizioni della regina Elisabetta, in occasione del giubileo del suo regno, sembrano avere risollevato le sorti della monarchia. Anche l’Economist, qualche mese fa, ha pubblicato un articolo di Bagehot (lo pseudonimo del suo commentatore per le questioni istituzionali) che termina con queste parole: «Per il bene del Paese e come gesto di gentilezza, è ora di mandare i reali in pensione».
Non bisogna dimenticare, tuttavia, che i maggiori difensori dell’istituzione monarchica sono nella classe politica. Grazie alla particolare evoluzione democratica della Gran Bretagna, il primo ministro ha progressivamente acquisito quasi tutte le prerogative monarchiche e ha poteri regali, come la designazione dell’arcivescovo di Canterbury, che nelle democrazie dell’Europa continentale sono stati soppressi o limitati, e a cui dovrebbe probabilmente rinunciare se la Gran Bretagna diventasse repubblica. Come re elettivo David Cameron preferisce che a palazzo Buckingham continui a vivere il titolare originario della sua autorità.
Sergio Romano