Francesco Cevasco, Corriere della Sera 04/04/2012, 4 aprile 2012
GUANDA: LORCA, SEPULVEDA, FOER. L’INDIPENDENZA LUNGA 80 ANNI
Si possono racchiudere ottant’anni di vita di una casa editrice in una sola parola? «Sì, si può. E la parola chiave è: indipendenza». Luigi Brioschi, che di Guanda è il presidente, ma potete scovarlo a fare qualsiasi altra mansione, dallo scout all’editor, dall’ambasciatore culturale all’addetto commerciale, celebra così, con quella unica parola, «indipendenza», il lungo compleanno di Guanda editore.
Entri nel suo sobrio studio. Una scrivania piccola piccola tutta nascosta da pile di libri, un tavolino rotondo altrettanto piccolo tutto sepolto sotto pile di libri, qualche piccola foto alle pareti (c’è anche un Sepúlveda che ridendo gli dedica una dedica disteso sopra un letto) e un quadro più grande: un ritratto di André Gide avvolto in un’inquietante spirale di fumo di sigaretta. La firma è di Guido Scarabottolo.
E Brioschi ti sorprende perché vuole partire da qui, da un’immagine, per raccontare la lunga storia di Guanda. Brioschi cita «la lezione di Mario Spagnol» cioè «la Vestizione del Libro». «Scarabottolo — dice — è stato per me quello che fu Carlo Mattioli per Ugo Guanda negli anni 30-40: l’artista che veste i libri. Era l’inizio del 2001. Ero nello studio di Pier Luigi Cerri. Mi mostra un librino smilzo, un piccolo catalogo dei disegni di Scarabottolo. Lo apro e da lì comincia tutto. Affido subito a Scarabottolo la copertina di un libro che avevo comprato già da un anno ma per il quale non avevo trovato una presentazione adeguata. Era Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer. L’ha fatta gialla con segni ebraici. Da lì è nata una innovazione: la copertina disegnata ad hoc».
Brioschi accarezza le ultime copertine di suoi autori, John Banville e Paola Mastrocola, e come dalla lampada di Aladino appare lo spiritello di Gadda. «Non era Guanda il suo editore, ma tre anni fa con la Fondazione Bembo abbiamo fatto rinascere I quaderni dell’ingegnere con l’indispensabile Pier Vincenzo Mengaldo come direttore e per onorare un debito di riconoscenza nei confronti di Dante Isella grazie al quale nacque nell’88 la Fondazione Bembo, cui Isella dedicò la sua passione fino alla morte nel 2007».
E, a proposito di spirito, qual è l’anima di Guanda? «Più che anima, la chiamerei vocazione: una vocazione alla ricerca e alla scoperta. Di nuovi autori e di nuovi valori. È questo che rende Guanda un po’ speciale: scoprire il nuovo senza che tu lo avverta. Tu al momento non lo sai ma poi scoprirai che la qualità s’impone». Così, nuovi l’altro ieri sconosciuti, come Banville o Sepúlveda, oggi sono classici.
Prego, un altro esempio di ricerca del nuovo...
«Trainspotting di Irvine Welsh. C’era questo libro, che in Italia curiosamente nessun editore aveva acquistato. Penso perché tutti lo considerassero intraducibile. Mi ricordo che tentai di andare a vedere una pièce a Londra tratta dal romanzo. Non riuscii: non c’era un posto in teatro. Allora comprai il libro e mi misi a leggerlo. Mi resi conto che aveva non solo una turbolenza di contenuti ma anche una virulenza espressiva che terremotava la lingua inglese. Decisi di acquistarlo ma non sapevo che sarebbe diventato il capofila della «Chemical generation». La stessa cosa con Arundhati Roy, Il Dio delle piccole cose. Era lei che annunciava l’innovativa generazione degli scrittori indiani che poi hanno avuto fortuna in tutto il mondo».
Ok, ma visto che i libri vanno sì scoperti, annusati, capiti, e comprati ma anche venduti ai lettori... «Su questo fronte resta valida la lezione di Spagnol, l’inventore del publishing fin dai rizzoliani anni 70. E cioè la vestizione del libro, la cura per l’impaginazione, l’attenzione alla parte grafica, alla tipografia».
Brioschi annusa libri da quando era ragazzo. Frequentava casa Vittorini, Ginetta Varisco, Ottieri, Del Buono. Ma si è laureato in giurisprudenza con una tesi su «Gli abusi dei ministri di culto». «Una tesi risorgimentale» — precisa. «Non stiamo mica parlando dei pedofili. Ma degli ecclesiastici che volevano interferire nella vita politica dell’Italia unita».
E, visto che parliamo del passato, restiamo nel passato: 1932, 80 anni fa, Ugo Guandalini comincia a pubblicare (all’inizio autopubblicare) a Modena e poi si trasferisce a Parma con gran dispetto dell’amico e compagno d’avventura Antonio Delfini che lo considera un traditore... «Quello che colpisce — commenta Brioschi — è che quest’uomo, questo editore, con pochi mezzi, senza una tradizione familiare alle spalle, in due città di tradizione culturale sì ma non certo crocevia come Parigi o Milano, riusciva in quegli anni ad avvistare e a far propria la miglior poesia internazionale dell’epoca. E, con la collaborazione di Attilio Bertolucci, Guanda presenta per la prima volta in Italia poeti come Lorca, Prévert, Eliot, Dylan Thomas, e autori come Hopkins, Gongora, Dickinson, Donne, Mansfield, Apollinaire, Tagore. E pubblica Luzi e Petroni». Nessuno sapeva che quei nomi non si sarebbero mai più cancellati dalla storia delle lettere. Come Brioschi non sapeva, quando comprò Luis Sepúlveda, che cosa sarebbe successo. Ricorda: «Nessuno me lo propose: né agenti né editori, neppure egli stesso. Ero a Parigi, lessi sull’«Express» un articolo su uno scrittore sconosciuto pubblicato da un editore che non conoscevo con un titolo curioso, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, lessi il libro in francese, acquistai i diritti. Se dicessi oggi che immaginavo allora di vendere più di sei milioni di copie sarei un bugiardo».
Grande idea di marketing fu quando Guandalini semplificò il marchio in Guanda. «Ebbe anche altri meriti — ricorda Brioschi: «per esempio di insistere ostinatamente nel proporre, fino a imporre, un autore come Giovanni Boine e creare una collana di saggistica, "Problemi d’oggi", frequentando esponenti del cattolicesimo più inquieto, del Modernismo, pubblicando Bonaiuti, Renzi, Tilgher, Martinetti, Maritain. Insomma, Guanda rappresentava una realtà e una cultura antitetica alla cultura di regime». Tratto che si trova ancor prima che Guanda facesse l’editore di libri, quando stampava un giornale, «L’Ariete» — era la fine degli anni 20 — in cui nella rubrica «Stonature» scriveva cose tipo: «Faccia porca senza tessera fascista uguale faccia porca. Faccia porca con tessera fascista uguale faccia porca».
E Guanda oggi e Guanda domani? L’ottantenne signora Guanda viaggia nella Rete? Legge ebook? Si attrezza alle sfide del futuro? Risponde Brioschi: «La sfida di un editore di qualità è proprio restare fedele a se stesso. Mantenere il proprio profilo e affermarlo: giocare le carte della qualità in uno scenario non ancora definito. Il mondo della Rete, pensiamo per esempio al self publishing, è generatore di nuove possibilità ma anche di nuova confusione. In questa dimensione la credibilità resta un valore ed è la continua sfida alla confusione. Oggi Guanda fa parte di un grande gruppo, gode della sua indipendenza editoriale, di cui io sono garante, indipendenza che corrisponde a una precisa filosofia di gruppo».
Francesco Cevasco