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 2012  aprile 04 Mercoledì calendario

L’OSSESSIONE DEI MILLESIMI E LA BOMBA CONTRO I VICINI

Si sarebbe potuta raccontare come una storia di ordinaria baruffa condominiale se non fosse finita tragicamente. È la storia dell’ingegner Igor Milic, sessantatreenne di origine serba, in Italia da trent’anni, che lunedì ha preso una decisione folle: impiccarsi con una corda sintetica prima di far esplodere — grazie a un’accurata predisposizione di timer collocati tra cavi elettrici e tubature del gas — la palazzina in cui abitava dal marzo 2008, a Vigonovo, sulla Riviera del Brenta. La doppia detonazione ha divelto un’ala dell’edificio, ma non ha causato vittime. Lo scrupolo con cui Milic ha organizzato la sua fine spettacolare, che avrebbe dovuto coinvolgere altri condomini, doveva assomigliare alla puntualità con cui osservava e commentava la gestione del condominio. Uno zelo che confinava con l’ossessione, un’ossessione che sempre più si traduceva nella certezza di essere perseguitato da tutti, amministratore e vicini di casa. Quella miscela di incomprensione e sospetto ha prodotto in un paio d’anni una quantità sterminata di esposti, lettere, ingiunzioni, querele e controquerele, consegnata a un dossier che lo stesso Milic ha spedito al Corriere il giorno della sua morte allo scopo di «sensibilizzare l’opinione pubblica in modo che questi squallidi avvenimenti da me sofferti non accadano in futuro più a nessuno».
Non è facile individuare la ragione prima delle lamentele, poi degli scontri, delle minacce e degli insulti, infine della guerra aperta dichiarata all’amministratrice. Forse il «persistente stato di emergenza» dovuto a una perdita d’acqua ereditata dalla gestione precedente e mai risolta. A cui si aggiunge la scoperta, in soffitta, di un camino coassiale «che rappresentava un grave pericolo per il condominio» in quanto saturando l’aria avrebbe potuto causare «l’esplosione di tutto lo stabile» (sic!). A cui si aggiunge il disappunto per qualche imprecisione nella contabilità e nel calcolo dei millesimi abitativi. A cui si aggiunge il fastidio per la porta blindata della vicina che chiudendosi sbatteva con troppa forza. A cui si aggiunge la vista di certe piante ornamentali sul pianerottolo «non contemplate dal regolamento condominiale». Senza ignorare che cinque contatori dell’acqua segnavano inspiegabilmente meno del dovuto. Senza dire della illecita scanalatura operata dal signor B. sull’asfalto «per far confluire le perdite d’acqua dalla porta del suo garage al tombino di scarico». Senza dimenticare che inspiegabilmente non sono mai state «attivate», come più volte richiesto da Milic, le rastrelliere delle biciclette nel sottoportico. Senza scordarsi che l’auto del signor M.V. una volta è andata a rovinare delle lenzuola matrimoniali appese, motivo per cui il danneggiato ha chiesto inutilmente di essere risarcito al più presto con «due nuove lenzuola ricamate, della stessa grandezza e qualità».
Fatto sta che le assemblee condominiali diventano sempre più impraticabili. È lo stesso Milic a parlare di situazioni di «grande confusione». Volano insulti e minacce che rendono l’atmosfera irrespirabile e che compromettono la convivenza quotidiana. Non di rado il condomino «attaccabrighe» è sollecitato ad allontanarsi: «Durante l’esposizione della sopranotata problematica il Sig. Milic è stato più volte invitato a non interrompere l’Amministratore, pena l’allontanamento dalla sala». Le sue energie vengono sempre più assorbite dalle beghe condominiali, controlla tutto, obietta, vuol far valere la sua formazione tecnica, offrendo (non richiesto), anzi imponendo consigli e aiuti. Tra i suoi esposti c’è un’accusa che l’amministratrice non può tollerare: ogni decisione sarebbe dettata dal tornaconto personale («lavori inutili e assurdi per guadagnarci sopra»). Nel giugno 2011 parte la querela. A cui Milic risponde con una controquerela. Non accetta nessuna mediazione, né, tantomeno, vuole pagare i 25 mila euro di risarcimento morale.
«Tutto quello che è successo — osserva Milic in un documento inviato ai condomini — si può paragonare a somiglianza di un’organizzazione mafiosa che esiste da tempo…». Parla di «disegno criminoso» a suo danno, di un «vero e proprio complotto contro di me», intravede nei vicini di casa «voglie vendicative e maligne» assecondate dall’amministratrice e dalla sua «sottile opera di persuasione psicologica». Sospetta di fazioni pronte a diffamarlo e a denigrarlo in pubblico, di alleanze «con compiti persecutori» contro il «disturbatore del quieto vivere», «il molestatore con evidenti finalità criminali». Immagina «abili mosse destabilizzanti», ma la più destabilizzante alla fine l’ha fatta lui.
Paolo Di Stefano