Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 04 Mercoledì calendario

L’EX BUTTAFUORI AMANTE DELLE PORSCHE CONQUISTO’ IL SENATUR CON LE FOCACCE —

Da volenteroso e diligente autista di Alfredo Biondi («non gli davo una lira»), proprio lui che a 22 anni era stato condannato a un mese e 10 giorni per guida senza patente, a sottosegretario alla Semplificazione ben remunerato. Da buttafuori e animatore della discoteca genovese Cezanne a vicepresidente di Fincantieri. Da giovane squattrinato simpatizzante di Forza Italia a custode dei segreti finanziari della Lega. Straordinariamente rapida l’ascesa, e altrettanto veloce la discesa, per Francesco Belsito, quarantunenne genovese, tesoriere del Carroccio indagato per truffa aggravata ai danni dello Stato e appropriazione indebita. La leggenda narra che sia riuscito a ingraziarsi Umberto Bossi e il suo cerchio magico portando focacce e vino in via Bellerio. Quel che è certo è che c’è riuscito soprattutto diventando l’ombra di Maurizio Balocchi, l’ex tesoriere, seguito e accudito anche durante la malattia, fino alla scomparsa del 2010. Macinare chilometri e deferenza ha portato bene al giovane Belsito, ma il percorso non è stato privo di intoppi: diplomi traballanti, lauree fittizie, abuso di Porsche, fallimenti societari, amicizie compromettenti. Il colpo più eclatante, qualche settimana fa, con la notizia dei sette milioni di fondi padani investiti creativamente in Tanzania e a Cipro. Infine, l’ultima accusa che lo ha costretto alle dimissioni.
Alla Camera i maroniani alternano sorrisi di scherno a battute feroci: «Fosse per me — dice un deputato — sarebbe stato fucilato già da un pezzo». Magari in modo meno cruento, Roberto Maroni lo avrebbe voluto fuori dal partito già da tempo. Biondi racconta così il suo debutto: «Belsito da ragazzo veniva alle riunioni di Forza Italia. Visto che non usavo l’auto blu, si offrì di accompagnarmi in campagna elettorale. Le sue idee politiche? Mai sapute, non è che fosse un formidabile conversatore». Due mesi da autista «diligente e servizievole» e poi «una sera me lo trovo sotto casa, che mi dice: la Lega mi offre un lavoro, farò l’assistente del presidente del consiglio regionale Francesco Bruzzone, volevo avvertirla. Se ti pagano, perché no, gli rispondo».
E così sarà. Bruzzone ora nega che Belsito sia stato suo assistente: «Lui non è mai stato il mio tipo. Troppi guai: ogni volta che usciva sui giornali era un danno elettorale». Non potevate intervenire prima? «Noi liguri avevamo avvertito Bossi, lui ha scelto di non fare nulla e di lui ci fidiamo. Però ogni giorno con Belsito era uno sputtanamento del nostro lavoro».
Il giovane Belsito si avvicina a Balocchi nel 2002. Ma è solo tre anni più tardi che ne diviene il fedele assistente. Una carriera che, come accade spesso nella Lega, passa per la vicinanza al Capo. Belsito non manca mai quando Bossi va in vacanza ad Alassio: lo accompagna al Bar Lido e offre volentieri il palmo della mano per il consueto «diretto» scherzoso del Senatur. L’ex autista alterna le sortite politiche, come la mobilitazione contro il minareto al Lagaccio, a quelle folcloristiche, come la partecipazione al Raduno nautico padano, presenti Renzo Bossi e Roberto Castelli. Tutti in muta appassionatamente davanti al «mar di Padania» e poi in delegazione a rendere omaggio alla tomba di Balocchi. Le cronache del Secolo XIX, per la rabbia di Bruzzone, lo tallonano da vicino. La Porsche Cayenne di Belsito (ieri, nel garage, ne aveva altre due di Porsche), in sosta nei parcheggi riservati della Questura, non passa inosservata. Lui si difende: «Sono autorizzato per motivi di sicurezza». In effetti è sotto protezione per un proiettile ricevuto e la scritta «bastardo razzista».
Poi c’è la «doppia» laurea. Sul sito del governo risulta dottore in Scienze Politiche. Nel curriculum della Regione, invece, laureato in Scienze della Comunicazione. Lui spiega che i titoli sono stati presi a Malta e a Londra (ma sono istituti non riconosciuti). A casa di Ruby Rubacuori spunta, misterioso, un suo biglietto da visita.
Il malessere cresce, ma aumenta anche la vicinanza al cerchio magico: a Manuela Marrone e a Rosy Mauro. Si moltiplicano gli incarichi: vicepresidente della Fincantieri, consigliere della Filse (la cassaforte della Regione), amministratore della Editoriale Nord (che edita la «Padania»). Nel suo curriculum, non esattamente in evidenza, ci sono anche le partecipazioni a due società poste in liquidazione.
Un giorno, a Genova, Balocchi lo presenta al presidente dell’Ordine dei Commercialisti: «Il dottor Belsito, che è anche un suo collega». Qualche giorno dopo, il presidente confessa a uno dei presenti: «Ma quale collega, Belsito non è commercialista». Un vizio antico, a quanto pare. Ai cronisti genovesi raccontava di essersi diplomato al Palazzi, in città. Ma in realtà il diploma sarebbe stato preso (o inventato) in una scuola di Frattamaggiore (Napoli) specializzata in «recupero anni»: secondo i carabinieri, il nome di Belsito non era nell’elenco degli esaminandi e la firma del preside non corrispondeva.
La carriera professionale gli riserva altri guai. Un curatore fallimentare lo accusa di essersi intascato centinaia di milioni di lire, Belsito viene coinvolto in due crac e viene segnalato in un giro di amicizie «pericolose». Davanti ai magistrati ammette anche una bizzarra pratica: «Sì, facevo regali ai finanzieri, ma non mi sembrava una forma di corruzione».
Di fronte alla valanga di scandali, Umberto Bossi non muove un dito, difendendo anzi Belsito: «È un buon amministratore, ha scelto bene come investire, non in Africa ma in Norvegia». Eppure lo stesso Senatur dice di non conoscere la destinazione dei soldi leghisti. Così come Roberto Castelli e Piergiorgio Stiffoni, che lo affiancavano nel Comitato degli Amministratori. I magistrati parlano di fondi per la ristrutturazione della villa di Bossi e per la campagna di Renzo. E di contatti con la ’ndrangheta. Accuse tutte da provare, ovviamente.
A rileggerla oggi, la «Padania», fa una certa impressione. L’inviato ad Alassio, nel 2010 definiva così Belsito: «Un ligure doc. E dunque uno che con i numeri ci sa fare».
Alessandro Trocino