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 2012  aprile 04 Mercoledì calendario

L’ULTIMO STADIO DI «PARTITOPOLI»

Di tutta questa nuova «partitopoli», lo scandalo che ha coinvolto la Lega è il momento più drammatico e più triste. Se infatti la corruzione è arrivata fino agli «incorruttibili» allora vuol dire che il cancro è al suo ultimo stadio.
Se la Lega è più ladrona di Roma ladrona, se oltre al sistema è marcio anche l’anti-sistema, se l’anti-politica è peggio della politica, vuol dire che la seconda Repubblica non è più riformabile.
Spetta ai pm delle tre procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria, dimostrare con prove le gravissime accuse che muovono al tesoriere di Bossi, Francesco Belsito, indagato anche per riciclaggio insieme a un procacciatore d’affari legato alla ’ndrangheta. I giornali fanno la cronaca delle inchieste, non le sentenze, e la presunzione di innocenza va sempre presa molto sul serio. Ma di fronte a quello che leggiamo ci sono già conseguenze politiche evidenti, e di queste ci si deve oggi occupare, perché segnalano la grave patologia raggiunta dal sistema democratico nel nostro Paese.
La prima considerazione riguarda la vita interna di quelli che in Italia chiamiamo generosamente partiti. Non è un caso se i tesorieri vengono spesso scelti non tra i più specchiati, ma tra i più fedeli al capo. Il caso di Belsito è emblematico. Non è neanche un leghista della prima ora. La sua biografia, dagli esordi come buttafuori in discoteca al lavoro di autista dell’ex ministro forzista Biondi, suggerisce il ruolo di uomo di mano, più che di uomo di garanzia. Belsito ha scalato la Lega fino a diventare sottosegretario alla Semplificazione di Calderoli (e ha imparato bene a semplificare, a quanto pare) e consigliere di amministrazione di Fincantieri (per quali competenze si può solo intuire). Quando si scoprì che investiva i soldi del finanziamento pubblico in Tanzania, Maroni tentò di farlo dimettere, ma Bossi garantì per lui. Se fosse provato che girava soldi del partito ai figli del leader per le loro «esigenze personali», come dicono i magistrati, il cerchio si chiuderebbe, e sarebbe tutt’altro che magico. Già da tempo la Lega aveva dato segni evidenti di essersi trasformata da movimento in regime, con i tratti sovietici dell’immobilità di un gruppo dirigente selezionato ormai più per la prossimità fisica al capo che per le sue doti politiche. Ma francamente nessuno aveva immaginato che il regime fosse diventato una satrapia. Nemmeno Berlusconi, a quanto pare, che ieri è tornato a mettere le mani sul fuoco, stavolta per il suo amico e alleato di un tempo.
Il secondo problema si chiama soldi ai partiti. Dovete sapere che in teoria il Carroccio non avrebbe nessun vincolo su come usare quelli che lo Stato gli versa, l’ultima volta 18 milioni di euro. Infatti i partiti sono associazioni volontarie, la loro vita interna non è regolata da una legge, e dunque fanno dei loro soldi ciò che gli pare e piace, anche se sono soldi nostri. Per la prima volta la procura di Milano tenta di spezzare questo circolo viziosissimo ipotizzando il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, e non più solo di appropriazione indebita. I pm sostengono infatti che la Lega ha presentato rendiconti falsi o omissivi delle spese in base alle quali avrebbe avuto diritto al rimborso, e dunque ha frodato questi soldi. Se l’ipotesi reggesse al processo, l’attuale legge sarebbe condannata, e con essa l’ipocrisia da cui nacque per aggirare il risultato di un referendum che aveva abrogato il finanziamento pubblico. Provate voi a farvi rimborsare dalla vostra azienda spese non documentate e non certificate. Neanche ai partiti può più essere consentito.
Terza questione: che ne sarà del movimento politico più innovativo e radicale degli ultimi vent’anni? Che ne sarà della indiscutibile fame di giustizia e di cambiamento che, seppure in modi confusi e contraddittori, motiva il vasto elettorato leghista? Ieri al vertice di via Bellerio c’era Tremonti, ma non Maroni. Sembra di capire che l’ex ministro dell’Interno, il leghista che i mafiosi li arrestava, abbia deciso di rompere gli indugi e di combattere finalmente a viso aperto e non per linee interne la sua battaglia per salvare il salvabile. Le prossime amministrative ci diranno se non è già troppo tardi.
Antonio Polito