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 2012  aprile 04 Mercoledì calendario

A differenza dei miei tre mariti, Chariot non mi hai mai mentito, non mi ha mai tradito, e ci ho sempre potuto fare affidamento»

A differenza dei miei tre mariti, Chariot non mi hai mai mentito, non mi ha mai tradito, e ci ho sempre potuto fare affidamento». Così nascono i miti. Chariot, ovvero la biga, è una Mercury Comet Caliente del ‘64, che sul contachilometri segna 576.000 miglia. Chi ne parla con tanto affetto è la sua padrona, Rachel Veitch, una bisnonna della Florida che l’ha guidata dal momento in cui è uscita dalla fabbrica, percorrendo una distanza superiore al viaggio di andata e ritorno dalla Terra alla Luna. Questa storia d’amore è sbocciata 48 anni fa, quando Lyndon Johnson aveva da poco preso il posto di John Kennedy alla Casa Bianca. Rachel entrò in un concessionario di Sanford, in Florida, e tirò fuori dal portafoglio 3.289 dollari. «La benzina - ricorda lei - costava 39 cent al gallone (circa 8 centesimi di euro al litro). Da allora, Rachel, che ad agosto compirà 94 anni, ha avuto tre mariti, quattro figli, nove nipoti, 11 pronipoti ma una sola macchina. «Il mio primo marito si sarà risposato un’infinità di volte, io invece sono rimasta fedele al primo amore». Chariot ha cambiato la batteria 18 volte, ma non l’ha mai lasciata per strada: «Sono molto meticolosa nella cura dell’auto. Ogni volta che la porto dal meccanico, resto a vedere cosa le fanno. Cambio l’olio ogni 3.000 miglia, e quando faccio benzina segno sempre il chilometraggio, per vedere quanta strada faccio con un gallone. Vedete, c’è una cosa che le case produttrici non vi diranno mai: le auto sono tutte riparabilissime». In realtà, se ogni cliente avesse mantenuto la sua media di una macchina ogni mezzo secolo, le case produttrici non esisterebbero più da un pezzo. Rachel, ex infermiera molto attenta alla salute, ha avuto un solo incidente, quando nel ‘90 la tamponarono da dietro sull’autostrada I-95 in Georgia: naturalmente la colpa era dell’investitore, e lei ne uscì senza un graffio. Nel 2000, poi, le fecero una multa perché andava a 92 miglia orarie in un tratto di strada dove il limite era di 55: «Allora feci l’unica modifica a Chariot: montai il controllo automatico della velocità. Altrimenti non la puoi frenare, è una vecchia signora piuttosto pugnace». Anche Rachel è una signora determinata, al punto che nel 2007 è andata con Chariot alla settantesima riunione dei suoi compagni di scuola, che si teneva in Pennsylvania: un viaggio lungo come un paio di Milano-Palermo. «Appena incrocio una strada, non resisto alla tentazione di vedere dove va a finire». Il 9 marzo scorso, però, Rachel è stata costretta a fare i conti con la realtà: ha passato un semaforo rosso, perché non l’ha visto. Il giorno dopo ha fatto gli esami e ha scoperto di avere una macular degeneration ad entrambi gli occhi, che la sta rendendo cieca: «Basta, state tranquilli, non guiderò più». Ora chiede solo una sistemazione degna per Chariot: «Potrei venderla al comico Jay Leno, che è un grande appassionato di auto d’epoca. Il suo posto giusto, però, sarebbe al museo». *** FRANCESCO BOTTERO La ragazza con la gonna a scacchi che stringe forte il suo Luigi trent’anni dopo ha lo stesso sguardo, la stessa pettinatura, la stessa espressione. Persino il cielo di Linate non sembra cambiato. Due foto una di fianco all’altra, due scatti della famiglia Aratari a una vita di distanza: ritratto di famiglia con 600, l’auto acquistata usata nei primissimi Anni Ottanta e ancora perfettamente funzionante. Mario Gerli invece lavora in officina a Milano. Vista Navigli, si occupa di rimettere a nuovo le moto d’epoca. Con la Renault 16 Super color amaranto ha fatto il giro d’Europa, ma la gita che non scorda è quella che nel 1977 l’ha portato in Francia a Boulogne-Billancourt, in pellegrinaggio laico sotto la sede della Renault. Le fotografie le ha scattate Matteo Ferrari, milanese, passato dagli spot per Nike a una folle corsa in scooter su e giù per lo Stivale a caccia di storie e immagini. È partito da un’idea, Ferrari: «Gli uomini sono più fedeli alle loro auto che alle loro donne». Non sempre, ovvio. Ma l’obiettivo era stuzzicante: raccontare la monogamia a quattro ruote. «In realtà più che alle macchine ho pensato alle persone, ai loro aneddoti, ai loro sentimenti. Per scovarle ho lasciato bigliettini sulle auto parcheggiate, chiedendo in giro e sfruttando il passaparola». È finito in Portogallo, Spagna, America Latina. Augustin e Leandro Cappuccio, innamorati pazzi di una Fiat Panda rossa, li ha scovati a Villa Ballester, a nord di Buenos Aires. Eppure bastava guardare sotto casa. Uno dei primi ad aderire al progetto è stato Gian Filippo Salvetti, Gippo per tutti, imprenditore milanese folgorato dall’Alfa a 18 anni che, una volta scoperto il «Biscione», non l’ha più mollato. Oggi, in pensione dopo una vita di lavoro «dedicata in gran parte al mattone», ha il garage pieno. Eppure, nonostante gli anni, la Giulia SS blu del 1952 resta la prediletta. Coccolata, lucidata. «Ero giovane: per me era il massimo. Un missile, che faceva sparire tutto il resto. Linea particolare. La Giulia è sempre stata il mio sogno e alla maturità l’ho ricevuta in regalo da mio padre, alfista anche lui. Pagata poco o niente, usata: è lì che è scoccata la scintilla». Adesso Salvetti è uno dei più grandi collezionisti d’Italia. «Ma per i viaggi quella Giulia non l’ho mai usata. Viaggiando le macchine si rovinano. Piuttosto correvo da casello a casello. Il mio primato? Recco-Milano in un’ora e 59 minuti. Ormai potrebbe farlo chiunque, allora era un record imbattibile». Sono libri aperti, le foto di Ferrari. C’è la 500 rossa che si è fatta il viaggio di nozze Pescara-Parigi, l’Alfa Romeo Giulietta Sprint 1300 che Marcello Saviozzi ha comprato nel 1974. Pasquale Santambrogio invece, è stato scelto da una Renault 4 arancione con il tetto apribile. L’ha presa da ragazzo, non l’ha mai mollata. Nel cofano spalancato ci sono i ricordi delle vacanze con i figli Francesca e Riccardo, in posa 27 anni più tardi davanti all’obiettivo di Ferrari: qualche capello in meno, la tuta rossa finita nel baule. «Ma la voglia di partire - racconta - è rimasta la stessa».