Andrea Malaguti, La Stampa 4/4/2012, 4 aprile 2012
Adesso che il cielo è color seppia, The Shard, la Scheggia, il grattacielo più alto d’Europa, 310 metri di acciaio, vetro e cemento immaginati da Renzo Piano, riflette una luce biancastra e prepotente sulle strade attorno a London Bridge
Adesso che il cielo è color seppia, The Shard, la Scheggia, il grattacielo più alto d’Europa, 310 metri di acciaio, vetro e cemento immaginati da Renzo Piano, riflette una luce biancastra e prepotente sulle strade attorno a London Bridge. Simon Jenkins, presidente del National Trust, mastica lentamente parole che faticano a uscirgli dalla bocca: «Credevo peggio». Ha sempre detto che l’avrebbe odiata quella torre incastrata innaturalmente nel cuore di Londra. L’aveva definita «un arpione conficcato nel cuore storico della capitale». Di più. «Un fallo piombato sulla terra da uno spazio capitalista». Non che le parole avessero un senso preciso, ma suonavano decisamente come una condanna. Persino il Principe Carlo aveva espresso perplessità nei confronti di questa modernità verticale. Ma adesso che il Gigante è finito, almeno la sua parte esterna, è come se qualcuno avesse lanciato nell’aria una polvere che trasforma i lampi dell’orizzonte a seconda del tempo e delle ore del giorno. Blu dopo i temporali, rosso al tramonto. Sembra un gioco fatto al computer. «Un chiaro esempio della fiducia nell’economia di Londra», dice il sindaco Boris Johnson con linguaggio da campagna elettorale. La capitale torna al voto il 3 maggio e i cambiamenti della pelle della città possono diventare medaglie o ferite. Questa la considera una medaglia. La Scheggia l’aveva voluta il predecessore - e ora sfidante alla carica di primo cittadino - Ken Livingstone. Lui si è trovato seduto al traguardo nel momento giusto. «È costato un miliardo, ma non è favoloso?». Soldi quasi tutti privati con cui sono state rifatte vie, case e giardini del quartiere. Il fiume di gente che esce dalla metropolitana gira istintivamente la testa verso l’alto, mentre operai brindano al piano terra aprendo bottiglie di champagne. Ci hanno lavorato in mille e duecento per finirlo. Hanno usato 11 mila pannelli di vetro costruiti in Germania e assemblati in Olanda, 11.836 tonnellate di acciaio e 52 mila metri cubi di cemento. «Un manifesto all’ecocompatibilità. Sfrutterà l’energia solare e quella del vento». Sembravano equilibristi sospesi nel nulla mentre braccia di gru mastodontiche agganciavano le loro imbragature per metterli in sicurezza. Entro maggio, in tempo per le Olimpiadi, finiranno la parte interna. Ottantasette piani, uffici per settemila persone, appartamenti da 12 milioni di sterline l’uno, uffici per settemila impiegati, un albergo a cinque stelle, quattro piani per ammirare il panorama e solo 42 posti auto. James Sellar, l’uomo che gestirà la vendita degli appartamenti, spiega che i garage non servono più. «Qui ci sono una stazione ferroviaria, due linee della metropolitana e venti di bus. Non vi piace un mondo senza auto?». Solo l’English Heritage continua a ritenere il risultato «deludente e inappropriato». Lo Shard ha superato i 235 metri dello One Canada Square, i 191 della Torre della British Telecom e i 180 della Gherkin. «Questo palazzo creerà un effetto domino. Tra poco London Bridge sarà circondata da un muro di grattacieli di cemento. L’orizzonte sarà rovinato.Saint Paul invisibile. Ne avevamo abbastanza, di mostri architettonici». Al settantaduesimo piano, Sellar offre da bere e sostiene che un compromesso tra l’anticonformismo creativo e la rassegnazione all’immobilità è possibile. «Abbiamo la città ai nostri piedi. Non esiste un posto migliore per ammirare Saint Paul. Questo edificio la esalta, altro che deprimerla». E lo dice con un sorriso luminoso da grandi occasioni.