Mario Calabresi, La Stampa 4/4/2012, 4 aprile 2012
L’ Italia deve diventare un Paese «prevedibile». Per Mario Monti, appena rientrato dal lungo viaggio asiatico, questa è la chiave della nostra ripresa e del recupero di credibilità
L’ Italia deve diventare un Paese «prevedibile». Per Mario Monti, appena rientrato dal lungo viaggio asiatico, questa è la chiave della nostra ripresa e del recupero di credibilità. Essere prevedibili non è solitamente considerato un complimento ma, per l’uomo che ha fatto della normalità una bandiera, proprio di questo abbiamo bisogno per attrarre investimenti e capitali. La scrivania di Monti a Palazzo Chigi è coperta di dossier economici e da tutte le classifiche esistenti sulla competitività: la sua missione è quella di cambiare la nostra immagine nel mondo. Per questo ripartirà già questo fine settimana, non prima però di aver portato al Quirinale il testo del disegno di legge sul lavoro, che non potrà «discostarsi significativamente» da quello varato. Il premier, che indossa una cravatta rossa, appare sereno e spera di farcela in tempi brevi. Lei è appena tornato dall’Asia, dopo essere stato negli Stati Uniti e nelle maggiori capitali europee, che percezione ha trovato dei cambiamenti dell’Italia? «La cosa che mi ha colpito di più è stata proprio l’intensità di questa percezione e la sua diffusione, in qualche modo me l’aspettavo da quando le cose hanno cominciato a girare bene, ma non che interlocutori come il presidente cinese, il primo ministro indiano o quello pakistano fossero così informati sulla nostra azione di contenimento del disavanzo e sulla velocità con cui abbiamo approvato la prima parte delle riforme. C’è la chiara sensazione che l’Italia possa fare la differenza ai fini della salute finanziaria dell’Eurozona». Ci sono state critiche per la lunghezza del suo viaggio in Asia. «In Italia ho sentito dire che la Cina è la fonte di tutti i problemi, ma queste reazioni mi sembrano non solo sottovalutare l’importanza che ha oggi, ma anche quanto sia utile per l’Italia. Ho fatto questo viaggio sia perché credo che l’attenzione verso questi Paesi sia nei nostri interessi, sia per abituare gli italiani a considerare questi Paesi cruciali per la crescita economica e a non ragionare più soltanto in ottica di decisioni europee. E’ tempo di cambiare i giudizi che diamo un po’ superficialmente e in base ai vecchi tabù. Non mi riferisco qui alla questione dei diritti umani, che è estremamente seria e che ho sollevato con gli interlocutori cinesi, ma al fatto che consideriamo i cinesi dei pubblici disturbatori di un mondo del passato che crediamo esista ancora e del quale siamo convinti di fare tuttora parte». In questo mondo nuovo e in evoluzione cosa ci manca per essere competitivi e attrarre investimenti stranieri? «Direi che ci manca una coltivazione sistematica e di lungo periodo dell’immagine del Paese. Non tanto in senso superficiale quanto nel fare in modo che i principali Paesi investitori e le loro imprese possano capire come ragiona l’Italia e considerino quindi prevedibile e stabile la sua politica economica nel tempo. Questo richiede un’opera pedagogica sia all’esterno sia all’interno: è importante che le élite economico-politiche internazionali sentano che l’Italia è un’entità comprensibile, prevedibile e che, pur con le sue particolarità, è come uno di loro». Ma cosa dobbiamo fare nel concreto? «Per creare un ambiente favorevole agli investimenti ci sono ancora progressi da fare sulla sicurezza e sulla lotta alla criminalità, motivo per cui domani andrò a Napoli e prossimamente a Palermo. Ci sono poi l’alleggerimento della burocrazia, la tempestività della giustizia per le imprese e una carenza di infrastrutture e c’è l’aspetto cruciale della prevedibilità delle regole». Lei insiste molto su questo concetto di prevedibilità, cosa significa? «Le confesso che quando alla fine di dicembre abbiamo visto scattare, per un automatismo delle convenzioni, oltre ai tanti aumenti da noi determinati per esigenze di bilancio, anche quello abbastanza cospicuo dei pedaggi autostradali, abbiamo avuto la tentazione di bloccarli o di differirli. Ma quella sarebbe stata una modifica di contratti in essere e sarebbe stato un argomento in più per dire che gli italiani sono quelli che cambiano le carte in tavola. Se vogliamo invece avere investimenti dobbiamo essere prevedibili». Lei sembra usare i viaggi come termometro della sua azione di governo. «Oltre all’Asia per me è stato molto significativo il viaggio a Belgrado dove ho incontrato parecchi imprenditori italiani che si sono stabiliti anche in Serbia, come ha fatto da ultimo la Fiat, e mi sono chiesto se la loro sia o no una delocalizzazione perversa. Perché non sia perversa bisogna poterla vedere come una internazionalizzazione di imprese che mantengono il loro baricentro in Italia. Ma se le condizioni di accoglienza in Italia non sono competitive e attraenti allora gli imprenditori non ci penseranno troppo prima di spostarsi del tutto all’estero. Il caso della Serbia mostra che la battaglia per rendere più attraente l’Italia come luogo di produzione è una battaglia importante sia per attrarre investimenti all’estero sia per far sì che una buona parte degli investimenti delle nostre imprese avvenga in Italia. E questo naturalmente ci riporta al mercato del lavoro». Questo ci riporta al centro del dibattito italiano, Bersani chiede di vedere cambiamenti alla riforma del lavoro, fino a che punto possiamo aspettarceli? «Io credo che dovremmo cercare tutti di ragionare meno in termini brevi per essere capaci di orientarci al medio-lungo periodo, soprattutto quando si ragiona di politiche pubbliche. Non si può fare la quotazione oraria delle probabilità che una riforma vada in porto, purtroppo o per fortuna la natura, le persone, i documenti, le carte e le idee hanno dei tempi di evoluzione e di maturazione. È curioso che l’altroieri, mentre volavo sui cieli dell’Asia, o forse proprio per quello..., c’era ottimismo sulla possibilità di un accordo sulla riforma del mercato del lavoro e poi invece ieri meno». Che tipo di modifiche è disposto ad apportare? «Il disegno di legge che è in corso di finalizzazione da parte del governo non si discosterà significativamente da quanto è stato tratteggiato nel documento che varammo al Consiglio dei ministri». Quando sarà sottoposto al capo dello Stato? «Al più presto». In che tempi pensa possa essere approvato? «Molto rilevanti per l’impatto complessivo della riforma non sono soltanto i suoi contenuti ma anche la velocità con la quale il Parlamento svolgerà il suo doveroso e attento esame. Se, anche senza il decreto legge, i tempi saranno rapidi allora questo gioverà molto e servirà a mostrare all’Italia e al resto del mondo che il processo di riforme non ha subito un momento di arresto. È importante non perdere il “momentum”». Cosa chiederà ai leader politici nei suoi incontri? «Nelle prossime ore cercheremo di avere un alto grado di consenso delle tre principali forze politiche in modo da avere la fondata attesa di un percorso rapido e non tale da mutare la fisionomia del disegno di legge». Ma come è possibile conciliare l’alto grado di consenso con la scelta di non modificare significativamente il disegno di legge? «Noi consideriamo esaurita la fase di consultazione con le parti sociali, sappiamo che ogni partito ha il suo retroterra in termini di parti sociali e di culture, ma penso che ogni leader dovrà esercitare capacità di leadership, senza aspettare che il cento per cento del suo mondo di riferimento sia d’accordo con lui. Ma quando parlo di alto grado di consenso mi riferisco al rapporto tra i tre partiti e il governo, un accordo Niente charter per Troppi dare divieti una fiduciosa spe- 440 militari e così i tedeschi ranza non rientrano che il vanno percorso in Croazia TORINO. Grandinate, sia allagamenti, abbastan- blackout e, purtroppo, anche una vittima: il maltempo ha colpito pesante- za Marisa scorrevole, Ingrosso Mattia Feltri pur mente, tenendo ieri pomeriggio, il Piemonte, in particolare conto le A PAGINA 8 A PAGINA 13 province di Torino e Cuneo. Nel capoluogo piemontese CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA in un’ora sono caduti 70 millimetri di pioggia (nella che di mezzo TRATTATIVA IN PANNE, ci DELUSIONE sono GRANATA le elezioni am- Il Toro e il Cairo estinto ministrative Giancarlo Laurenzi vole di Totò, eTrombetta che - ha convin- questo SUPERCOPPA non sem- to Chiamparino che il guaio sarebbe- EPPURE questo Cairo Urbano è ro invece i dipendenti del Torino di plifica uomo di mondo né quotato in Bor- il Cimminelli, calendario riassunti dai lodisti per né la sereni- sa, dovrebbe sapere che l’anel- sbrigare le faccende domestiche. lo al naso non lo portano più neppu- Cioè: magazzinieri, centralinisti, bire nel Malawi. Quando abbandone- gliettai, indispensabili eroi da 1200 tà rà dei il mare di Tropea, Chiamparino lavori». il sindaco euro al mese. dovrà informarlo che L’archivio racconta che due anni scambiare Torino e la squadra che fa l’Urbano fece lo stesso ad Alessanporta da 99 anni il suo nome per lo dria, davanti alla carcassa di un club scendiletto del casale è un salto di C2 (che infatti fallì): offerta, inter- ALL’INTER IL PRIMO mortale Pensa anche per i trapezisti della che viste, pubblicità questo e fuga. L’uccellino comunicazione. Non tornano i con- spiffera che a inizio agosto incontrò TROFEO obiettivo DELLA STAGIONE potrà ti: due giorni fa Cairo urlò di non Cravero e Arrigoni per capire come Juventusbeffata temere i cingolati della Juve, ieri si è risalire in A spendendo 7 milioni arreso alle pistole ad acqua di Ma- scarsi. Quelli gli girarono le spalle, da un gol di Veron rengo. essere Non tornano le motivazioni raggiunto? inorriditi. Gazzoni confessa che da Un grandioso dellame sonoretromarcia:gli ingaggiper luidicausagiocatoriinfa- Epocoieri,Cairoa compravenditagli ha chiestodefunta,il Bologna.in nei supplementari r i o r g a n i z z a r e acquistati da altri, il suo avvocato - città è venuto giù il diluvio universa- Beccantini, Bernardi, Boffo e Sormani IN EDICOLA CON «Se che porta lo riusciremo stesso nome dell’onore- le. L’arca se n’era andata vuota. in questo, ALLE PAGINE 30 E31 facendo PREST INTESA. Puoi chiedere da 2.000 a 30.000 euro e realizzare subito i tuoi progetti. appello ancora una volta a quel notevole grado di responsabilità di cui hanno dato prova i partiti che ci sostengono, allora non solo avremo portato a casa in tempi ragionevoli la quarta e cruciale riforma ma lanceremo un ulteriore segnale di fiducia anche all’estero. E questo significherebbe che l’Italia sta davvero cambiando, al di là di questo particolare e breve governo». E’ necessario un nuovo vertice con i partiti di maggioranza su questi temi? «Vertici ce ne sono stati e ce ne saranno, il fatto che mi incontri con i tre leader di partito non deve essere considerato un segnale di emergenza, è assolutamente naturale». In questa intervista ha sottolineato come il mondo chieda all’Italia di essere «prevedibile» e insieme ha parlato di governo breve, anche lei sa che il grande interrogativo è proprio legato a questa incertezza su cosa succederà tra un anno. Chi garantisce che questi comportamenti virtuosi non verranno abbandonati? «La garanzia non la può dare nessuno. Io però sono fiducioso che questo avverrà perché se questi partiti hanno avuto la capacità di intesa e di trovare un terreno comune pur senza avere il beneficio del protagonismo diretto, allora anche in una nuova fase di governi politici, in cui si assumeranno in prima persona la responsabilità di governare con i loro leader, l’interesse al buon esito sarà ancora maggiore». Ma in che quadro politico immagina tutto ciò? «Se la situazione del Paese lo richiederà ancora, allora immagino che saranno anche disposti a mettere a frutto l’acquisita capacità di dialogo tra loro per pensare a soluzioni larghe, a grandi coalizioni. Penso a quelle formule che in passato venivano auspicate ma subito fatte oggetto di sorriso benevolo, in quanto dichiaratamente impossibili, ma che proprio l’esperienza attuale mostra come possibili. Già in un’intervista a nel 2005 avevo detto che ci sarebbe voluta una grande coalizione per fare le riforme: mi attirai solo critiche o giudizi di irrealizzabilità ma alla fine mi pare che proprio questo sia successo». Lei insiste anche sulla necessità di cambi culturali nel Paese. «In questa fase abbiamo visto come reagiscono gli italiani a sentirsi dire, anche con linguaggio schietto, che occorre fare certe cose che pesano. Per cui ogni volta che penso ai cambiamenti nella società e nella politica mi convinco ancor di più che i comportamenti virtuosi non saranno abbandonati. E sarà bello guardare tutto questo dal di fuori». La Commissione europea, in un documento circolato a margine dell’Eurogruppo riportato ieri da «La Stampa» e dal «Financial Times», sostiene anche che gli sforzi dell’Italia «potrebbero essere minacciati da un profilo di bassa crescita e tassi di interesse relativamente alti» tanto che il suo governo «deve essere pronto a prendere eventuali altre iniziative di bilancio». «Abbiamo assunto tutte le misure per centrare gli obiettivi e ci siamo anche presi dei margini di sicurezza che consentirebbero il risultato del bilancio in pareggio anche con ipotesi più sfavorevoli di quelle previste a dicembre. Prima di tutto non abbiamo calcolato nessun provento dalla lotta all’evasione, che pure abbiamo molto potenziato, e poi abbiamo tenuto un’ipotesi di tassi di interesse sul debito pubblico per tutto il 2012 al livello di fine novembre (il 7 per cento sui titolo decennali), un’ipotesi che si è rivelata, almeno per ora, effettivamente pessimistica. «Abbiamo un obiettivo molto ambizioso ma ci siamo lasciati dei margini e per questo non crediamo proprio che un eventuale andamento più negativo dell’economia reale imponga una nuova manovra». Ma perché l’Italia deve avere un obiettivo così impegnativo? «Non ho scelto io l’obiettivo del bilancio in pareggio nel 2013 ma è stato stabilito dal presidente Berlusconi, durante la scorsa tumultuosa estate, per dare il senso dell’intensità dell’impegno dell’Italia. Quando sono arrivato qui ero ben consapevole che era un obiettivo più ambizioso di quello di gran parte dei Paesi europei, ma abbiamo valutato che non sarebbe stato opportuno rimetterlo in discussione, pena una perdita di credibilità». Lo spread lo guarda spesso? «Sì, sì, ma meno di altri. Nei vari incontri avuti con la signora Merkel mi sono sentito dire che negli ultimi dieci minuti c’era stato un miglioramento…». Sotto che soglia siamo al sicuro? «Si potrebbe dire zero, ma è meglio guardarsi dalle affermazioni temerarie. Sono giudizi relativi, l’importante è che lo spread con il bund continui a scendere». Non la preoccupa un Paese che non cresce? «Abbiamo lavorato per evitare la soluzione peggiore: le misure prese stanno avendo e avranno un effetto recessivo ma che va comparato con lo scenario greco, non con uno scenario di crescita che non era dato. Abbiamo evitato di finire come la Grecia, ora i provvedimenti di crescita richiedono più tempo. Mi rendo conto che sarebbe bello avere un maggiore tasso di crescita economica, non solo per il benessere dei cittadini italiani e per avere più occupazione ma anche perché questo renderebbe il nostro mercato interno più appetibile per le imprese straniere. Questo siamo convinti che verrà, grazie alle riforme, ma non è purtroppo una cosa realizzabile nel brevissimo periodo, dove semmai avremo effetti opposti dovuti alle misure di contenimento del disavanzo». La disoccupazione aumenta, soprattutto quella giovanile, e c’è un effetto di calo dei consumi dettato dall’aumento delle tasse e dall’inflazione, quando si vedranno gli effetti positivi delle manovre? «La crescita in Italia è da 12 anni almeno pari alla metà di quella dell’eurozona: ho spesso elogiato l’attenzione prestata dal governo precedente alla tutela dei conti pubblici ma ho anche criticato la tardiva presa di consapevolezza, dopo una lunga sottovalutazione del problema, dell’inadeguatezza della crescita italiana. Per lungo tempo non sono state fatte le riforme strutturali necessarie e tutto quello che riguardava le liberalizzazioni veniva ritenuto impossibile o poco realistico a meno che si modificasse l’articolo 41 della Costituzione. Per inciso, noi ne abbiamo fatte molte ma la Costituzione non l’abbiamo toccata. Ciò che abbiamo cercato di fare è stato conseguire gli obiettivi di consolidamento mettendo però dosi di rispetto della crescita e con la riforma delle pensioni abbiamo tolto un elemento di squilibrio grave e di lungo termine». Non c’è niente che si può fare nel breve periodo? «Certo non possiamo disinteressarci degli aspetti sociali di sofferenza e per questo stiamo pensando a degli interventi, ma i margini sono effettivamente ristretti e saranno molto selettivi perché non sono più possibili iniezioni di spesa pubblica in disavanzo. È però vero che la riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico dà un po’ di respiro e che se riprendono afflussi di capitali finanziari e investimenti industriali dall’estero tutto questo comincerà a avere effetti e cambierà non solo la situazione ma anche il vissuto psicologico». Intanto assistiamo anche a fatti terribili come i suicidi di imprenditori e artigiani. «Sono cose drammatiche, anche in Grecia i suicidi sono molto aumentati, l’unica risposta adeguata e seria che possiamo dare è quella di risanare e rilanciare il Paese». Da chi si sente più sostenuto nell’azione di governo? «Sinceramente molto più di quanto immaginassi dai governi esteri, ma sostanzialmente dai due estremi: dall’opinione internazionale e da coloro che sulla carta avrebbero dovuto essere i più sofferenti, cioè i tre leader della maggioranza». Com’è il rapporto con Silvio Berlusconi? «Superata una fase iniziale di normale adattamento a una situazione nuova, il mio predecessore ha manifestato un importante e continuo sostegno. Sulle grandi questioni internazionali lo tengo informato e partecipe e gli chiedo suggerimenti». Qual è stato il momento personale più positivo di questi mesi? «È stato un momento non negativo: quando sono andato in Parlamento per la prima volta a presentare il programma e ho visto che reggevo a questa situazione per me totalmente nuova, allora ho capito che, pur da estraneo, avrei potuto cercare di operare in questo mondo, pro tempore».