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 2012  aprile 01 Domenica calendario

COME LASCIARE LA TERRA AI VIVI

La granduchessa Joséphine-Charlotte del Lussemburgo morì nel 2005 all’età di 77 anni. Dopo i funerali pubblici nella Cattedrale del Granducato, i suoi famigliari si recarono a Hamm per eseguire la sua ultima volontà: essere cremata. La cerimonia avvenne nella più stretta intimità (come si dice in questi casi). La scelta di Joséphine-Charlotte, figlia maggiore di Leopoldo III del Belgio, suscitò discussioni nelle frange più conservatrici della società lussemburghese e belga.
«Alla notizia fu dato un basso profilo», ricorda a sette anni di distanza Jean-Paul Petit, presidente della Société belge pour la Crémation. All’epoca un comunicato del Palazzo del Granduca dette la notizia senza enfasi e senza troppe precisazioni. La scelta di Joséphine-Charlotte sorprese, tanto più che la granduchessa era sorella di Baldovino, uno dei monarchi più devotamente cattolici del XX secolo. Eppure, a ben guardare, la cremazione è ormai in Belgio una scelta sempre più radicata.
Negli ultimi dieci anni l’aumento delle cremazioni è stato di oltre il 40%. Ormai il 65% delle persone decedute a Bruxelles è cremato. La percentuale è sempre alta nelle Fiandre (54%); più bassa in Vallonia (35%). I livelli non sono quelli del Nord Europa, dalla Gran Bretagna alla Danimarca, ma sono certamente più elevati che in Italia o in Francia dove oscillano tra il 15 e il 30%. Il Belgio, alla frontiera tra l’universo germanico e il mondo latino, è un piccolo laboratorio europeo.
Per la cronaca, anche uno dei ventidue ragazzi morti in marzo nel terribile incidente di autobus in Svizzera è stato cremato. L’aumento delle cremazioni ha ragioni morali (lasciare la terra ai vivi), ecologiche (il rispetto dell’ambiente), economiche (i minori costi rispetto a una sepoltura). Bruno Py, curatore di un libro intitolato La crémation. Le droit en Europe, è convinto che questa scelta dipenda anche «dalla mobilità delle famiglie e dalla fragilità delle strutture famigliari».
In un contesto nel quale «le famiglie si dividono e si ricompongono, non c’è l’idea della fissità rispetto a un luogo nel quale gli antenati sono seppelliti», spiega il professore dell’università di Nancy. Ma come l’eutanasia o la clonazione, anche la cremazione suscita interrogativi. Per molti secoli la Chiesa cattolica ha bandito questa soluzione, in contraddizione con la fede nella resurrezione dei morti. Solo negli anni Sessanta, la Chiesa è diventata più tollerante, con un decreto del Sant’Uffizio del 1963.
Il Belgio, Paese tradizionalmente cattolico, è un caso emblematico. La Société belge pour la Crémation vede la luce nel 1906, mentre la vicina Francia si dotava di una legge sulla separazione tra Stato e Chiesa. «Nel 1932 finalmente il parlamento belga votò una legge che ha permesso la cremazione» racconta Petit . Al Senato il provvedimento passò per un voto, quello di un parlamentare arrivato in aula su una lettiga e che sarebbe morto da lì a qualche giorno.
Da allora, con l’indebolimento progressivo del partito cattolico, la pratica della cremazione ha messo radici. In Belgio vi sono undici crematori, altri cinque sono in costruzione, e altri due sono già previsti. Le differenze tra nord e sud non hanno a che vedere con eventuali differenze tra protestanti e cattolici. Secondo Petit, il ritardo vallone è dovuto alla presenza di enclaves rurali e conservatrici, al di là della cintura industriale che collega Tournai, Mons, Charleroi, Namur e Liegi.
«Stiamo assistendo a un progressivo riequilibrio tra nord e sud» – aggiunge il presidente dell’Association belge pour la Crémation, che guida anche l’Union crématiste européenne, l’associazione europea. D’altro canto, in un primo tempo, la scelta della cremazione rifletteva un sentimento anticlericale e forse anche antireligioso. Oggi non è più così: il 70% delle cremazioni è associato a una cerimonia religiosa. Il crematorio di Bruxelles ha un proprio cappellano».
L’abitudine della cremazione non suscita solo dubbi religiosi, ma anche etici. Alcune società recuperano le protesi mediche dopo l’incenerazione del cadavere. Una di queste ha sede in Olanda. Orthometals è stata fondata nel 1997. È presente in quindici paesi europei. Raccoglie 250 tonnellate di metallo all’anno. «Tutto è fatto in piena trasparenza» spiega da Zuidwolde il fondatore, Ruud Verbene. «Ai famigliari viene spiegato quello che facciamo e al 99% si dicono d’accordo».
«Che senso avrebbe» – spiega ancora l’imprenditore olandese – bruciare il corpo e seppellire le protesi? Verbene sottolinea che il metallo viene riutilizzato dall’industria, e non tornerà mai sotto forma di protesi in un corpo umano. Alla domanda se ha l’impressione di lucrare sui cadaveri dei defunti, risponde che il 75% dei profitti della sua azienda viene riversato ai crematori e investito in opere di beneficenza e in associazione caritative. Orthometals non è l’unica società del suo genere.
C’è chi offre di raccogliere le ceneri dei propri cari non solo in urne, ma anche in anelli o in pendoli. C’è chi propone di inviarle nello spazio. Chi addirittura vende speciali acquari con un doppio fondo nel quale inserire i resti del proprio famigliare. Infine, vi sono anche imprese che trasformano le ceneri in diamanti sintetici attraverso uno speciale processo di compressione. La "deriva mercantilistica" preoccupa l’Union crématiste européenne.
In origine, la cremazione doveva riflettere il desiderio di abbandonare la vita terrena senza lasciare segni apparenti. Ma sempre più spesso le ceneri vengono tenute in grandi colombari, nuovi cimiteri moderni: in contrasto con la modestia che sottintende questa scelta? L’uomo che più promosse questa abitudine in Belgio, Eugène Goblet d’Alviella, riposa in un mausoleo alto dodici metri nel Brabante Vallone. A sua difesa: morì nel 1925; sette anni prima della legge del 1932.