Claudia Galimberti, Il Sole 24 Ore 1/4/2012, 1 aprile 2012
E L’ELETTRONICA SPODESTÒ URLA, RECINTI E SUONI DI CAMPANELLA
Cominciamo con un po’ di latinorum...Le "societates publicanorum", di cui parla Cicerone, erano vere e proprie organizzazioni di servizi che privati rendevano allo Stato, e il cui capitale era diviso in partes, potremmo dire oggi azioni, che potevano essere vendute e quindi comperate, e il cui valore variava in dipendenza del successo della societas, cioè dell’impresa. Siamo nel primo secolo avanti Cristo, nel periodo splendido della Repubblica romana.
Ma il genius loci di organizzazioni che saranno l’embrione delle Borse mondiali è ribadito dalle iniziative delle città stato italiane, Venezia per prima, seguita da Firenze e Genova. La repubblica di Venezia nel 1171 chiede "prestiti" ai cittadini, paga un interesse del 5% e onora regolarmente il suo debito tanto che questi titoli di prestito diventano negoziabili, sono accettati in pagamento, venduti e comperati, iniziando così il primo mercato di titoli della storia.
Anche il nome stesso, Borsa, ha origini italiane. Nelle Fiandre, alla fine del XIV secolo, le fiere medievali si susseguivano con grande frequenza e i mercanti accorrevano numerosi. Questa variopinta umanità si fermava in una locanda di proprietà di una famiglia italiana, emigrata dal Veneto, il cui nome era Dalla Borsa, ma conosciuta come Van den Bourse. Allora le locande erano come una taverna di porto, fumose, dai soffitti bassi, piene di tavoli e di avventori, luogo di liti, ubriachezze e schiamazzi: ed era proprio lì che mercanti e banchieri regolavano debiti e crediti, così come i cambi delle monete di stati e staterelli in cui l’Europa era divisa. Da allora, Van den Bourse, e poi semplicemente Bourse, è il termine usato per indicare il luogo delle contrattazioni di compravendita di titoli, monete, merci e servizi.
Nel 1688 l’istituzione dei mercati di compravendita di titoli era così diffusa che un ebreo sefardita portoghese, esiliato in Olanda, Joseph Lopez de la Vega, scrisse un libro "Confusiòn de confusiones", nel quale descrive usi, costumi e rischi della Borsa di Amsterdam, diventata un importante centro di affari. Pochi anni dopo, nel 1698, John Castaing operando davanti alla Jonathan’s Coffee house, stilava regolarmente un listino prezzi di merci e di compagnie. Nasceva anche a Londra il primo London Stock Exchange.
Per formalizzare le contrattazioni sotto il famoso platano al numero 68 di Wall Street, a New York, dovremo aspettare quasi altri cento anni. Risale al 1792 il primo accordo sottoscritto tra i mediatori che contrattavano i titoli di debito pubblico e le azioni delle compagnie.
Passati i tempi di locande e caffé, di platani e di liste stilate a mano, passati anche i tempi di mimiche studiate e convenzionali, urla, suoni di campanelle, recinti entro i quali si concludevano gli affari, oggi la Borsa si è rivestita di elettronica, si è dematerializzata, ha esteso il suo campo d’azione e i suoi rischi. Il giocattolo della finanza è maneggiato da innumerevoli mani, così che spesso si avventura verso terre inesplorate, che le carte dell’economia non segnano, e rischia, come è già avvenuto, di incagliarsi su scogli e bassi fondali. Ma nonostante gli incidenti di percorso la Borsa, specchio e cornice dell’economia, resta la locomotiva principe della finanza.