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 2012  aprile 01 Domenica calendario

AVVIAMENTI, UN CONTO DA 30 MILIARDI

Quasi 30 miliardi di euro. O meglio per essere precisi 28,3 miliardi. Da dividere tra le prime 5 banche italiane. È un numero imponente ed è la misura della pulizia dei bilanci effettuata nel corso del 2011.
Quei quasi 30 miliardi infatti rappresentano le svalutazioni degli avviamenti imposte dai principi contabili internazionali. Vere e proprie pulizie di primavera che erano state annunciate per prime da UniCredit che già mesi addietro aveva provveduto a ripulire i conti. Con una svalutazione del goodwill che era ammontata per il gruppo di Piazza Cordusio a ben 8,67 miliardi di euro. In questi giorni a seguire sono arrivati gli altri.
Per Intesa Sanpaolo il goodwill svalutato ha significato una perdita per 10,2 miliardi. Per il Monte dei Paschi il conto da pagare è stato di ben 4,48 miliardi. Il Banco popolare ha pulito i conti per 2,83 miliardi e Ubi banca ha messo a bilancio svalutazioni di avviamenti per 2,2 miliardi.
Si paga lo shopping salato
Già ma cosa sono gli avviamenti o goodwill? In estrema sintesi sono i prezzi pagati nel corso del tempo per le acquisizioni, in genere di altre banche, e iscritti a bilancio. Ebbene quei prezzi erano ormai datati. Figli della storia o meglio di quel periodo d’oro, prima della crisi della finanza mondiale, in cui si compravano sportelli, intere banche a prezzi dell’era del credito facile e ai multipli di borsa pre-crisi.
Quel tempo dopo il dissesto Lehman e la crisi dei debiti sovrani sono ormai archiviati. Ma quei prezzi e quei valori se ne stavano allegramente, come se niente fosse, ancora iscritti nei bilanci come fossero reali, quando reali non lo erano più da anni. Basti pensare a UniCredit. A determinare per gran parte le rettifiche di bilancio l’intera campagna di espansione nell’Est europa condotta da Profumo quando UniCredit voleva costruire la grande banca italiana pan-europea. A dover essere tagliate a distanza di anni proprio i valori delle banche comprate in Russia o Kazakistan e pagate ai prezzi stratisferici di allora. O per guardare all’altro big, Intesa, ecco comparire tra le voci che sono state rettificate i costi della fusione con il Sanpaolo e di Carifirenze. Per arrivare a Monte dei Paschi dove ha senza’altro pesato quello shopping su Antonveneta pagata nel 2008 oltre 10 miliardi. Il segno meno finisce davvero per riguardare tutti e ha dipinto di profondo rosso, per cifre assai vicine all’intero peso delle svalutazioni, l’ultima riga del bilancio.
Un gigantesco colpo di spugna sul passato quando l’espansione, anche a prezzi d’affezione, era il leitmotiv del sistema. Ora il mondo è cambiato. Prima la crisi dei mutui americani e le follie della finanza anglosassone, poi la crisi dei debiti sovrani e ora una nuova recessione in cui il Paese è entrato. Certo fa impressione vedere banche come Intesa e Unicredit chiudere i conti con perdite nette per 8 e 9 miliardi rispettivamente. Ma la borsa non si è scomposta più di tanto perché in realtà l’effetto è solo contabile, dato che si registra ex-post una perdita che c’era già stata e non incide sulla forza patrimoniale né sulla liquidità. Pulizie di primavera attese, quindi, e che consentono di ripartire con attivi meno gonfi dall’effetto shopping degli anni dei grandi acquisti.
Ma restano sullo sfondo le criticità del settore. Non legate tanto alla solidità, che grazie ai rafforzamenti patrimoniali, all’iniezione di liquidità della Bce e allo stemperarsi della tensione sugli spread non è un problema.
Il nodo sofferenze
Il problema vero è legato alla redditività. Se in genere tengono i margini sull’attività operativa pesano ancora la mole delle sofferenze che a livello lordo sono quasi raddoppiate dal 2009 al 2011 per l’intero sistema superando la soglia dei 100 miliardi di euro. Quel peso con l’Italia di nuovo in recessione non aiuta a guardare al 2012 con grande ottimismo. Basti pensare che per Intesa le rettifiche nette sui crediti sono salite a 4,2 miliardi dai 3,1 miliardi del 2010; per Mps le rettifiche sui crediti sono salite del 13% in un anno. Ma il trend è pressoché comune a tutti. Il fardello resta pesante da portare se, come nel caso di UniCredit, il totale dei prestiti deteriorati netti a fine 2011 rappresentano il 7,1% dell’intero portafoglio crediti. O come per il Banco Popolare dove i prestiti dubbi lordi sono il 10% dell’intero portafoglio.