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 2012  aprile 01 Domenica calendario

LA DERIVA DI FINCANTIERI APPALTI E LAVORO NERO DI STATO

Che cosa c’entra un ex calciatore, già tronista per Maria De Filippi, con la Fincantieri? C’entra, eccome. Pasquale Commentale, figlio di Giuseppe, è uno dei tanti imprenditori che, tramite prestanome, gestiscono le aziende che appaltano e subappaltano lavori dall’industria navale pubblica. Su lui e la sua famiglia sta indagando la procura di Gorizia: spenta in fretta la sua stella nel mondo dello spettacolo, si sarebbe riciclato in un’associazione a delinquere per estorsione ai lavoratori e truffa ai danni dello Stato. Gli sfruttati della Sea Work, la ditta di cui Commentale è titolare occulto, sono tutti lì, con il loro foglietto colorato in mano, davanti a Giovanna Boursier e alla telecamera di Report, che stasera (alle 21,30 su RaiTre) racconta l’Italia delle navi finita Fuori Bordo.
SONO TUTTI lavoratori immigrati. Agitano quei pezzetti di carta senza nessun valore, dove i Commentale hanno scritto il numero di ore che ancora gli devono pagare. Erano conteggiate nella busta paga, ma quei soldi non li hanno mai visti. Qualcuno di loro, in compenso, ha pagato 900 euro per essere assunto, qualcun altro ha ristrutturato gratis la casa di Giuseppe, il padre dell’ex tronista. Tutti pagano 30 euro al mese, a prescindere da quante ore lavorino, per fare la doccia. Sono alcuni (non pochi, raccontano le inchieste) dei 40 mi-la esterni che lavorano per gli otto cantieri navali pubblici. In quegli stessi cantieri ci sono 3670 operai (quasi la metà dei dipendenti totali) che rischiano la cassa integrazione per i prossimi due anni. Colpa della crisi, dice l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, delle commesse che non arrivano, della concorrenza dei cinesi, dei coreani, dei singaporegni che “costano meno e producono di più”. Le stesse ragioni per cui a Sestri Ponente , a Monfalcone, a Marghera si appalta e si subappalta: spendere di meno e produrre di più. Ogni assunto di Fincantieri, ha 4 operai fuori che fanno il lavoro che lui non potrebbe mai fare così in fretta e alle stesse condizioni. Contratti da 3, 2, 8 mesi. Paghe orarie da 8 euro “globali”, il che significa niente tredicesima, ferie, Tfr o malattia. Dimissioni in bianco già firmate. Due cartellini da timbrare: uno per dimostrare a Fincantieri che si è lavorato al massimo 9 ore, l’altro per la ditta terza, dove per fare cassa puoi arrivare anche a 13 ore. Per ogni cantiere, tra fornitori e terzisti le ditte esterne sono più di 500. Molti fanno come i Commenta-le: si trovano dei prestanome, in modo da poter chiudere bottega al primo problema con l’Ispettorato del Lavoro e riprendere appalti con un nuovo nome, ma con gli stessi operai.
È COSÌ che qualche dipendente di Fincantieri ha fiutato l’affare. Capito l’andazzo, si sono detti: “Perché non mi apro la ditta a nome di un mio parente o di qualche amico? – racconta un operaio a Report – Si fa la sua ditta, e guadagna due volte, prima come dipendente Fincantieri e secondo come ditta esterna. Queste cose le sanno anche i muri”. Andrea Bovo dipendente al cantiere di Marghera l’ha intestata a sua moglie, un dirigente prossimo alla pensione l’ha data in mano a suo figlio. Lo sa anche l’ad Giuseppe Bono. Poi sarebbero diventati imprenditori dell’indotto di Fincantieri anche il figlio dell’ex direttore di Marghera Paolo Capobianco e il suo successore Attilio Dapelo. Ma su di loro Bono non si sbilancia: “Se una ditta mi fa il miglior prezzo, la migliore qualità, mi dà le consegne che voglio io, che potere c’ho io di andare a indagare chi ci sta dietro?”.
Bono è stato riconfermato amministratore delegato di Fin-cantieri giovedì scorso. Dice che bisogna investire nell’off shore, “altrimenti la fine è segnata”, ma sa anche che “bisogna ricreare competenze che non abbiamo”.
In verità, non abbiamo più neanche i cantieri adatti: a Sestri è tagliato in due dalla Ferrovia, le navi grandi lì non si possono costruire. I soldi per rifare tutto ci sono: 50 milioni dal governo, 20 dall’autorità portuale di Genova. Ma che si fa, si investe senza essere sicuri che Fincantieri a Sestri rimane aperta? Bono promette di sì. Altri italiani nel frattempo se ne sono andati a Marsiglia e lì stanno lavorando sulle riparazioni, unico settore su cui investire in tempo di crisi: c’è da rimettere in sesto un traghetto algerino, un cargo irlandese. Anche noi ne avremmo di cose da riparare. L’azienda di Stato ha perso le gare per i lavori su due navi della Costa Crociere: le hanno vinte i privati, anche qui “connessi” in vario modo a Fincantieri . Poi c’è la flotta della Tirrenia in liquidazione: in attesa di capire se si chiuderà l’affare con gli unici armatori che si sono fatti avanti (in cambio di 500 milioni di contributi statali), le navi stanno marcendo nel porto di Crotone. “Lamiere fraciche”, racconta un operaio, infestate “da cozze e mitili”. Qualcuna se la sono comprata per due soldi e adesso fa la tratta Bari-Durazzo. Qualcun’altra era da riparare, ma l’hanno portata in Turchia. Fincantieri non ha “dimostrato interesse”.
Eppure l’interesse c’era: non solo quello dei lavoratori del cantiere di Ancona che avrebbero potuto trascorrere mesi tranquilli, ma anche quello economico: milioni di euro in contributi europei, se solo a qualcuno venisse in mente di riconvertire a gas i vecchi traghetti a gasolio.