Bruno Quaranta, Tuttolibri-La Stampa 31/3/2012, 31 marzo 2012
Montale: “Indossando il frac ho scritto gli Ossi di seppia" – Non è forse inevitabi- le «incontrare» Montale se si ha un nonno gobettiano? Non fu forse l’editore ideale ad accogliere gli Ossi di seppia ? E così Eusebio e Annalisa Cima, auspice Vanni Scheiwiller, nel 1968 avviarono una conversazione che feconderà (che lieviterà) nel segreto: «
Montale: “Indossando il frac ho scritto gli Ossi di seppia" – Non è forse inevitabi- le «incontrare» Montale se si ha un nonno gobettiano? Non fu forse l’editore ideale ad accogliere gli Ossi di seppia ? E così Eusebio e Annalisa Cima, auspice Vanni Scheiwiller, nel 1968 avviarono una conversazione che feconderà (che lieviterà) nel segreto: «... ed io me ne andrò tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto...». Non sarà forse, questa donna «così ricca d’armonia e di protesta», un’occasione per depistare i critici? Lei che avrà come «xenia», come dono, il diario postumo, un mannello di liriche disvelatesi nelle stagioni, accendendo le polveri di chi, incautamente, frettolosamente - come Dante Isella - le considererà apocrife? Trent’anni di amicizia con Eugenio Montale pulsano nelle Occasioni del Diario postumo di Annalisa Cima (appassionatamente intonata la prefazione di Cesare Cavalleri). Anni corti come giorni, un quotidiano riconoscersi («Ognuno riconosce i suoi»), trepido, mai servile, di una generosità non ostentata, di una schiettezza che non contempla alcun inganno. Un’amicizia di foggia crociana, quale il filosofo di Palazzo Filomarino innalzò: «... mercé l’amicizia si promuove la disposizione morale, che è anzitutto disinteresse personale, all’amico che si presume vero e sincero si dà quel che gli spetta, cioè quel che egli è pronto a dare a noi: e questa è pur giustizia...». Da Esterina alla Mosca, da Gerti alla Volpe. Ad Annalisa Cima, l’estrema metamorfosi del «mistero senza fine bello» che è la donna secondo Gozzano, la voce crepuscolare carissima a Eusebio, avendolo guarito dalla «lue dannunziana». Annalisa Cima accanto a cui, grazie a cui, il Nobel rivà ai volti trascorsi. I versi «Ti rivedo così, seduta al pianoforte / pronta a spiccare il volo», per esempio, che naturalmente riconducono agli Ossi , alla «grigiorosea nube»: «Esiti al sommo del tremulo asse, / poi ridi, e come spiccata da un vento / t’abbatti fra le La donna con gli stivali che brilleranno come una madeleine agli occhi di Montale («Ne vidi identici, da bambino, in una cassapanca della soffitta: erano della nonna, color écru , con ricami dello stesso tono»). L’anima da Montale vaticinata come «l’imperatrice», i riccioli «biondo tiziano» («un isabellismo permanente o solo una variante»?), adagiata intorno al collo una volpe blu che nel Diario si trasmuterà in muflone: «E verrai col tuo / muflone blu cobalto». Annalisa Cima, un ventaglio di muse, lei che è pianista, pittrice, poetessa. Nell’albero genealogico, a risaltare, accanto al nonno paterno «energia nova», la nonna materna Alice Anna Schlesinger, d’illustra famiglia ebraica e viennese. Di ramo in ramo, «in su la cima», la divisa mondadoriana che - vorrà leggere Montale - annuncia un destino nel segno di Calliope: «... il cognome di chi sdegnava aiuti e compromessi, / nel motto che fiorisce sui frontespizi». Di «occasione» in «occasione», nell’officina del Diario postumo . Il journal dove Montale via via ospita gesti, profili, colloqui (come non riandare a Piovene: «Il tema più profondo e misterioso di Montale: la fedeltà tragica verso i vivi e i perduti»). Ed ecco, ritratti, il «ginevrino» Starobinski, l’editor Marco Forti, «il nostro maestro di filologia» Cesare Segre, l’«onorevole-professore» Spadolini, il «saggista prediletto» Claudio Magris, l’«inafferrabile» Marisa Bulgheroni... Non mancando, non dimenticando, Montale, qua e là, di offire un contributo all’identificazione di se stesso: «I primi tre libri ( Ossi di seppia , Le occasioni , La bufera , ndr) sono scritti in frac, gli altri in pigiama, o diciamo in abito da passeggio». In cauda omaggiando di una doccia fredda i fedelissimi: « Riviere , che è la poesia prediletta dagli incompetenti...». Mai smettendo, Montale, anzi, ulteriormente lustrando l’ habitus piccolo-borghese - persino velando la diamantina consapevolezza artistica - al cospetto del supremo alloro di Stoccolma: «...Lo accetto per paura. / Un cospicuo compenso non offende / al contrario difende dalle insidie / della svalutazione. Non attenderti / gesti di coraggio da un vegliardo...». Piuttosto la confessione - non in queste Occasioni , sollecitata da diverse, superiori, cosmiche paure - di una sofferta inettitudine, magari andando con il pensiero a Gobetti: «Ci pone di fronte uno specchio dal quale ci discostiamo con fastidio o con orrore». Ci sarà anche Annalisa Cima nel Duomo di Milano, ma «in disparte», al funerale di Montale. Rammemorando la prima immagine, in attesa dell’intimazione («L’aspetto domani alle undici, a casa mia»): «Sbuffava, dissentiva e fumava in un esilarante numero alla Chaplin». Attingendo nel privato canzoniere il lucreziano saluto all’impiedi: «... vivremo sì nel nulla, ma uniti / in catene di atomi lucenti / in quel tutto e nulla che è vita / da contrapporre al vivere / ch’è solo attesa della morte».