Eugenia Tognotti, Tuttolibri-La Stampa 31/3/2012, 31 marzo 2012
Anche la peste ha fatto l’Europa – Nell’ansiogeno film di Steven Soderbergh, Contagion , presentato l’anno scorso a Venezia, un banale starnuto apre l’apocalittico scenario di una pandemia globale, provocata da un virus che - si saprà alla fine - è il prodotto dell’incontro «di un maiale sbagliato con un pipistrello sbagliato»
Anche la peste ha fatto l’Europa – Nell’ansiogeno film di Steven Soderbergh, Contagion , presentato l’anno scorso a Venezia, un banale starnuto apre l’apocalittico scenario di una pandemia globale, provocata da un virus che - si saprà alla fine - è il prodotto dell’incontro «di un maiale sbagliato con un pipistrello sbagliato». La catena del contagio non parte da un remoto angolo dell’ Africa nera, ma da uno dei luoghi più cosmopoliti del mondo, Hong Kong, grande mercato di animali vivi, associato, nell’immaginario collettivo, all’influenza aviaria. Virus, batteri, spore, viaggiano senza passaporto, si sa. Di ritorno da un viaggio d’affari, Beth Imhoff (Gwyneth Paltrow) porta la malattia in America. Da qui, il misterioso virus si diffonde a velocità spaventosa in tutto il mondo: un colpo di tosse, una stretta di mano, un bicchiere, una carta di credito, un telefono cellulare sul bancone di un bar. I gesti e il flusso quotidiano dei contatti e degli incontri, personali e professionali, diventano il veicolo della distruzione. Non per niente il timore della contaminazione (da virus, biologici e informatici) è diventato il simbolo dell’era in cui viviamo. Siamo vulnerabili. E il mondo diventa sempre «più piccolo», per riprendere il titolo di un paragrafo di questa Storia delle epidemie del medico infettivologo brasiliano Stefan Conha Ujvari. Il movimento di uomini, animali e merci è sempre stato uno dei fattori più dinamici nell’ influenzare l’equilibrio tra microbi, virus ed esseri umani, permanentemente impegnati in una sorta di guerra, in cui le condizioni ecologiche e sociali create dagli uomini esercitano una potente pressione evolutiva. Oggi la velocità e la scala delle migrazioni di uomini hanno assunto dimensioni vertiginose. Viaggiano anche gli animali e gli insetti. Le zanzare dei tropici arrivano comodamente in aereo nelle grandi città europee. All’orizzonte, il pericolo d’infezioni devastanti, nel caso in cui compaia sulla scena un agente ad alta capacita infettiva, capace di trasmettersi da uomo a uomo e contro il quale non esistano farmaci specifici. Un grande candidato «si nasconde tra le pieghe del continente africano: il virus Ebola», scrive Conha Ujvari. Che dalla pestilenza di Atene del 432 a.C. all’Aids - passando per la sifilide, il vaiolo, il colera, la terrificante Spagnola - intreccia il piano scientifico con quello storico-culturale, mostrando l’evidenza - ignorata sistematicamente dagli storici - della reciproca influenza tra eventi biologici e sanitari e dinamiche dell’economia, della scienza, della società. La peste trecentesca cambiò il corso della storia d’Europa. Il colera obbligò i governi a pensare alle grandi infrastrutture igieniche. Il tifo petecchiale ebbe un ruolo nella definitiva estromissione dei musulmani dalla penisola iberica: più che le armi di Ferdinando il Cattolico, poté la devastante epidemia che infierì sull’ esercito musulmano. Per non parlare del peso dello stesso morbo nella tragica ritirata di Russia della Grande Armata Napoleonica, dove la Rickettsia prowazeki la fece da padrona. Dal 1976 a oggi decine di nuovi insidiosi agenti patogeni sono comparsi sulla scena, producendo nuove malattie: l’Aids, Ebola, la febbre di Lassa, l’encefalite del Nilo occidentale e diverse altre negli ultimi anni (dalla Sars all’ Influenza aviaria), tanto che questo libro, pubblicato per la prima volta in Brasile nel 2003, non ha fatto in tempo a registrarle. Un’ altra minaccia sono gli agenti patogeni, virus e batteri, trasformati dal bioterrorismo in «armi vive» (antrace, vaiolo, peste). Una cosa è certa. Si è definitivamente chiusa negli Anni Ottanta del secolo scorso l’età dell’ hybris , dell’orgogliosa superbia, fondata anche sullo scudo degli antibiotici: la vittoria sulle malattie infettive sembrava cosa fatta. Con batteri e virus dovremo continuare a convivere, avverte, nella Premessa, l’epidemiologo Eugenio Paci. Le epidemie non sono il frutto di maledizioni divine, come pensavano gli antichi. La comparsa e la diffusione di agenti infettivi sono legate alle attività degli uomini. Abbiamo messo in crisi ecosistemi che avevano raggiunto un delicato equilibrio durato milioni di anni. Dovremo ricordarcene più spesso.