Miguel Gotor, la Repubblica 1/4/2012, 1 aprile 2012
Piazza Fontana, il film e la doppia verità – LA STRAGE di Piazza Fontana torna a essere oggetto di un ampio saggio di Adriano Sofri, consultabile i n t e g r a l m e n t e s u l s i t o www
Piazza Fontana, il film e la doppia verità – LA STRAGE di Piazza Fontana torna a essere oggetto di un ampio saggio di Adriano Sofri, consultabile i n t e g r a l m e n t e s u l s i t o www.43anni.it, che è prevedibile diventerà presto un libro. PARTE del testo è stata scritta nei giorni successivi alla visione in anteprima del film di Marco Tullio Giordana "Romanzo di una strage", ma la critica alla pellicola, dedicata alla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, resta sullo sfondo. In realtà, gli obiettivi di Sofri sono altri e più impegnativi, tanto che lo inducono a riesumare due modelli letterari classici, quello dell’orazionee quella della confutazione. Il primo obiettivo, che potremmo intitolare Oratio pro Pinelli, consiste nella convincente difesa dell’integrità umana, morale e politica di Giuseppe Pinelli, morto in circostanze ancora controverse, nel corso dell’interrogatorio avvenuto presso la Questura di Milano. Fa bene a ribadirlo perché la cultura pubblica del nostro Paeseè in genere caratterizzata da un pernicioso vizio estetizzante, quello di blandire le vittime per poi contribuire a corromperle, forti del fatto che non possono più difendersi. Il secondo obiettivo potremmo denominarlo Confutatio contra Cucchiarelli, e consiste nell’opera di demolizione del libro scritto dal giornalista Paolo Cucchiarelli da cui il film di Giordana è ispirato. Diciamo subito che le critiche di Sofri al volume appaiono fondate, tuttavia egli commette la leggerezza di considerarlo un libro di storia, quando in realtà è un’inchiesta giornalistica che nasce con l’obiettivo extrascientifico di riaprire, sul piano giudiziario, la vicenda di Piazza Fontana. Il libro non è ascrivibile alla disciplina storica per l’uso e l’abuso che l’autore compie di fonti anonime non verificabili, legate al mondo dei servizi segreti e della destra neofascista. Esse, nella migliore delle ipotesi, rivelano la persistenza di un’ancora vasta attività disinformativa e depistante sull’argomento, cui il giornalista, fino a prova contraria in buona fede, ha fatto da amplificatore. Nel peggiore dei casi, invece, queste fonti anonime possono essere delle invenzioni narrative funzionali a supportare le parti non concludenti del suo discorso. Il cuore della tesi di Cucchiarelli, ripresa dal film di Giordana, è il seguente: a Piazza Fontana ci furono due bombe, una anarchica, di basso potenziale, l’altra fascista, destinata a esplodere. E doppi, ossia con dei sosia, sarebbero stati tutti i protagonisti della vicenda, non solo nella Banca dell’Agricoltura, ma anche negli altri luoghi di Roma e di Milano ove deflagrarono, quasi contemporaneamente, altri ordigni. Indirettamente il saggio di Sofri rivela che l’ars duplicatoria di Cucchiarelli ha colto nel segno sul piano culturale. In effetti, confonde le acque e, distribuendo torti e ragioni in modo indiscriminatamente equanime, svolge una sorta di paradossale, ma molto italiana funzione purificatrice. Se anche Pinelli, Calabresi e Moro sono sporchi, i fascisti coinvolti nella strage e gli apparati dello Stato che li coprirono lo sono meno e le loro responsabilità ne escono relativizzate. Ma attenzione: se tutti risultano almeno un po’ colpevoli, quanti, a sinistra, dopo quella strage, praticarono una feroce violenza politica di massa, scelsero di intraprendere la lotta armata o di simpatizzare con essa, dunque anche loro avevano le proprie ragioni. E oggi possono continuarea sentirsi «la meglio gioventù», anche se, ad esempio, gioirono quando Luigi Calabresi venne ucciso da un commando di Lotta Continua all’apice di un’infamante campagna di stampa orchestrata dall’omonimo giornale. Non importa che tanti passaggi del libro, come mostra Sofri, siano irragionevoli o ingiustificati, conta ribadire l’idea di un mistero italiano irrisolvibile e perciò deresponsabilizzante che richiede atti di fede e di obbedienza, non prove di discernimento e di criticità. E invece, sul piano storico, la strage di Piazza Fontana è sufficientemente chiarita, così come il suo rapporto con la cosiddetta strategia della tensione di cui è stata l’evento più tragico. Il disegno degli «strateghi della strategia della tensione», così li chiamava Moro nel suo memoriale dalla prigionia brigatista nel 1978, è stato quello di attribuire la responsabilità delle stragi al mondo anarchico (all’uopo infiltrato a Roma come a Milano) attraverso appositi depistaggi funzionali a coprire la manovalanza di neofascisti come Franco Freda e Giovanni Ventura, condannati per gli attentati del 25 aprile e dell’8 agosto 1969. Il primo magistrato che individuò, sin dal dicembre 1969, la pista neofascista fu Guido Calogero, lo stesso inquirente che qualche anno dopo, sempre a Padova, mise a fuoco i legami tra autonomia e brigate rosse. Oltre a Freda e a Ventura, Calogero inquisì anche Guido Giannettini, giornalista legato al Sid. Due relazioni, ritrovate nel 1971, ma stese da Giannettini il 4 e il 16 maggio 1969, rivelavano la conoscenza da parte del Sid di un piano di attentati terroristici di gruppi neofascisti appoggiati da alcuni esponenti della borghesia industriale del nord e da ambienti oltranzisti statunitensi, i quali «avevano deciso la sostituzione del centrosinistra in Italia con una formula sostanzialmente centrista»: il piano, non a caso e significativamente, era definito nelle veline «Operazione ritorno al centrismo». Nessun complotto, dunque, né tantomeno mistero, doppio Statoo consolatoria retorica dei servizi deviati che in realtà non lo sono mai, ma ferocissima lotta politica impostata in un Paese a doppia lealtà, che viveva la contraddizione di fondo di avere una costituzione formale antifascista e una materiale anticomunista, con servizi segreti e corpi di polizia ancora pesantemente condizionati dalla loro formazione in età fascista. Immagino che Sofri con il suo testo abbia ben chiara la responsabilità che si è assunto, proprio come me in questo momento, nel pubblicizzare ulteriormente l’opera di Cucchiarelli, scrivendone una confutazione che inevitabilmente la renderà più diffusa oggi e maggiormente studiata dagli storici di domani, che vi arriveranno proprio seguendo l’autorevole polemica di Sofri. La sua scrittura nervosa e ansimante denuncia una coscienza tormentata, inevitabilmente attratta come una falena da tutto ciò che passa da quella storia. Non gli riesce di sottrarsi,è lo scotto che paga e, con rispetto, possiamo comprenderne il perché, visto che questa storiaè una tragediae non un romanzo.