Antonio D’Orrico, la Lettura (Corriere della Sera) 01/04/2012, 1 aprile 2012
I «FOREVER YOUNG» STANNO INVECCHIANDO
La vecchiaia incombe sulla generazione forever young, quella che sembrava non dover (voler) invecchiare mai, quella che ha celebrato sopra ogni cosa la giovinezza. La generazione di Francesco Guccini e del grande pop autarchico. Nel suo ultimo libro, il Dizionario delle cose perdute, Guccini getta la maschera e non nasconde di essere tecnicamente vecchio perché si ricorda cose che non ricorda quasi più nessuno.
Guccini si ricorda il pacchetto delle Nazionali semplici (e lo mette in copertina, giusto riconoscimento a uno dei capolavori del design italiano). Guccini si ricorda le siringhe di vetro e gli aghi di ferro che venivano bolliti prima di fare le punture (e ricorda anche quanto facevano male le punture). Si ricorda quanto pungevano le maglie di lana fatte in casa. Si ricorda («con un sussulto d’angoscia») i costumi da bagno fatti sempre di lana. Si ricorda il lattaio che portava i bidoni del latte in bici (il mio si chiamava Francesco, proprio come Guccini). Si ricorda i tappi a corona delle bibite che diventavano ciclisti (Coppi, Bartali, Koblet e Bobet). Si ricorda i nomi dei dancing: Il Settimo Cielo, il Florida, l’Eden, il Mocambo, il Kursaal. Si ricorda lo shake, il twist e anche l’hully gully. Si ricorda la Littorina. Si ricorda la visita di leva, il Car e la famigerata puntura Tabte. Si ricorda il telefono Duplex. Si ricorda quando si entrava al cinema a spettacolo iniziato e si vedeva il film dalla fine all’inizio, secondo un proprio montaggio personale, con propri personali flashback. E, giunti al punto da dove si era cominciato, ci si alzava per andare via dicendo sempre tutti la stessa frase: «Siamo arrivati qui».
Siamo arrivati qui. Il film che abbiamo visto era già iniziato. Forse non era nemmeno un filmone. O forse sì. Ma cosa volete che faccia ora? Che dia il voto alla generazione dei miei fratelli più grandi?
Antonio D’Orrico