Redazione Corriere, la Lettura (Corriere della Sera) 01/04/2012; Tony Clifton, ib; Georgina Higueras, ib; Ignacio Cembrero, ib; Amir Shah, ib; Valerio Pellizzari, ib., 1 aprile 2012
6 articoli - 80 ETTORE MO - Buon compleanno, Ettore! Mentre tu te ne stavi ancora una volta in qualche angolo sperduto del pianeta, a cercare storie per il «Corriere», assieme al fotografo Luigi Baldelli, qui, in via Solferino, si è complottato per riunire alcuni dei grandi corrispondenti internazionali che negli ultimi quarant’anni hanno attraversato il fronte, decine di fronti, assieme a te
6 articoli - 80 ETTORE MO - Buon compleanno, Ettore! Mentre tu te ne stavi ancora una volta in qualche angolo sperduto del pianeta, a cercare storie per il «Corriere», assieme al fotografo Luigi Baldelli, qui, in via Solferino, si è complottato per riunire alcuni dei grandi corrispondenti internazionali che negli ultimi quarant’anni hanno attraversato il fronte, decine di fronti, assieme a te. Qualcuno è stato difficile da rintracciare, ma non lo è stato ottenere la loro adesione al nostro progetto: una festa a sorpresa oggi, 1° aprile, per i tuoi ottant’anni, nel tuo, nel vostro ambiente ideale, una pagina di giornale. E non soltanto perché la tribù degli inviati in prima linea ama ritrovarsi, conflitto dopo conflitto, a cementare i ricordi e i sodalizi; ma anche per la tua rara capacità di generare amicizia e stima, laddove di solito spuntano maldicenze, slealtà e competizione. Per te, si è mobilitato l’intero staff internazionale di «Newsweek», determinato a ritrovare nel suo ritiro australiano lo storico corrispondente dal Medio Oriente, Tony Clifton, che avevi incontrato nel 1979, al tuo battesimo del fuoco nella rivoluzione iraniana. Obiettivo raggiunto: da Roma via New York, Parigi, Pechino, Islamabad e Nuova Delhi, fino a Melbourne. Hanno risposto all’appello Ignacio Cembrero e Georgina Higueras, tuttora inviati di punta di «El País», con i quali avevi condiviso — rispettivamente — l’orrore della strage nei campi di Sabra e Shatila, Libano 1982, e le fatiche dell’interminabile campagna afghana, nell’era ante gsm e satellitari, quando qui si restava senza tue notizie per settimane. E Amir Shah, della Bbc, primo testimone del tuo dolore e della tua rabbia per il voltafaccia del leader filotalebano Gulbuddin Hekmatyar, che aveva fatto assassinare un giovane reporter della tivù inglese, Mirwaiz Jalil, poco dopo che lo avevate intervistato, nel 1994. Certo non poteva mancare Valerio. Valerio Pellizzari, concorrente sì (il tuo omologo al «Messaggero»), ma soprattutto amico incondizionato da un quarto di secolo, denso di avventure comuni dallo Sri Lanka alla Bosnia, la Cina, la Cambogia, la Birmania, il Golfo Persico, l’Irlanda. Alla prossima, Ettore! La redazione del Corriere della Sera GENEROSO GUERRIERO D’ACCIAIO - Ettore, innanzitutto non riesco a credere che tu abbia ottant’anni, e secondo, non riesco a credere che tu stia lavorando ancora in quei Paesi così difficili e spesso pericolosi. L’ultima guerra che ho seguito è stata quella tra India e Pakistan nel 1999, e confesso di portare bene i miei settantacinque anni. Ma tu sei davvero un grande guerriero. Mi ricordo benissimo di te. Quel piccoletto d’acciaio che sbucava fuori negli eventi più tragici e sanguinosi. A cominciare dall’Hotel Intercontinental di Teheran, quando lo Scià fu deposto e i sostenitori di Khomeini si precipitarono nelle strade urlando «Morte agli americani», e ai loro occhi eravamo tutti americani, anche gli italiani come te e gli australiani come me. Tu mi sei stato di grande aiuto in quei giorni drammatici e spaventosi. Tu avevi contatti che io non potevo sognarmi di avere, perché in tutto il Medio Oriente in quei giorni difficili nessuno si fidava degli americani e nessuno parlava con me, perché lavoravo per «Newsweek», che è americana. Ma si fidavano di un europeo come te e tu mi hai riferito cose che la gente non avrebbe mai detto a me. Tu con me non ti sei tirato indietro. Ti ringrazio perciò di tutti i tuoi consigli e l’aiuto che mi hai dato. E ti ammiro moltissimo, nel saperti ancora oggi impegnato nella ricerca della verità. Tony Clifton LA CAMERA OSCURA A PESHAWAR - Buon compleanno, mio caro maestro! Fonte di saggezza, umanità e generosità durante la selvaggia guerra afghana, quando i mujaheddin fiancheggiati dall’Occidente ci raccontavano il loro sogno di entrare a Kabul per «violentare tutte le donne perché erano comuniste e se lo meritavano». Quanto ho imparato dalla tua enorme sensibilità nel capire a fondo i soldati di Allah che sapevano molto del paradiso e così poco di questo mondo. Quante cose mi hai insegnato sulle vittime dei conflitti. Quante risate ci siamo fatti, dopo aver finito di lavorare, insieme allo sparuto gruppo di giornalisti italiani che ti seguivano come un guru, nella «camera oscura» dell’albergo di Peshawar, dove ci raccontavamo le esperienze della giornata davanti a una birra o a un whisky, mentre nella hall o nei saloni, spie, mullah e commercianti portavano avanti alla luce del sole le grandi transazioni di armi, droga, soldi e religione. Auguri di lunga vita! Te la sei meritata. Georgina Higueras IL PRIMO CHE VIDI PIANGERE - Il taxista continuava a gridare che dovevamo andarcene perché i «kataeb» (le milizie cristiane libanesi) sarebbero tornati. Io ero teso e cercavo di individuare qualunque rumore potesse indicare che stavano tornando sul luogo della strage. Ettore Mo piangeva sconsolato. Con lo sguardo vagava sui mucchi di cadaveri di donne e bambini, e piangeva. Fu la prima volta, credo, che vidi un giornalista piangere mentre lavorava. Era il 18 settembre 1982. Eravamo i primi a scoprire il massacro di circa 2 mila civili palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila, a sud di Beirut. Io e il taxista eravamo preoccupati innanzitutto per la nostra sicurezza. Lui piangeva. Ignacio Cembrero MIRWAIZA, TRADUTTORE UCCISO - Ricordo benissimo Ettore Mo. Un giorno, penso fosse l’estate del 1993, Ettore capitò nell’ufficio locale della Bbc. Aveva con lui Sharif, un autista trovato all’Hotel Intercontinental, e mi offrì di andare assieme a intervistare Gulbuddin Hekmatyar, uno dei leader mujaheddin nella guerriglia contro i sovietici. Ma ero occupato. Ettore se ne dispiacque. Lo aiutai a trovare allora un altro traduttore, Mirwaiz Jalil, noto collaboratore della Bbc. Dovevano uscire solo 40 km da Kabul. Ettore mi raccontò più tardi che caddero in un’imboscata nella zona di Rishkor sulla via del ritorno. Un gruppo di uomini armati costrinsero Mirwaiz a scendere. Appurato che Mo era italiano lo lasciarono andare. Il giorno dopo apprendemmo che Mirwaiz era stato assassinato. Con Ettore ci vedemmo ancora tre giorni dopo. Era triste, ma calmo, controllato. Ancora adesso non sappiamo chi siano stati i veri assassini di Mirwaiz. Amir Shah INNOCENTE NEGLI OCCHI SENZA ETA’ - Gli occhi di Ettore sono rimasti quelli di un bambino, con una luce trasparente, non appannati dalle miserie che ha visto per il mondo. Anche la sua voce, quando riemerge dopo un lungo periodo di silenzio, ha quel tono impunito e disarmante di un monello che si è attardato troppo a giocare. Una volta uno sconosciuto, emerso da chissà dove, che sembrava il suo gemello, lo avvolse in una discussione surreale, lieve e divertita, per distinguere tra uomini piccoli e uomini corti. Lo sconosciuto gli offriva anche i suoi abiti, come i bambini quando si scambiano i giocattoli. Questi e altri episodi compongono un unico ritratto, quello di una innocenza scapestrata e generosa, messa dentro una barca e lasciata in balia delle correnti. La curiosità disarmata è stata il suo lasciapassare. Per questo ha saputo guadagnare la confidenza di uomini e donne in ogni Paese, e trovare nei suoi scritti quelle due parole che gli altri rincorrono ma non trovano mai. Come in Tibet dove le donne festose di un mercato per lui profumavano di neve e di stalla. Nonostante sia un pessimo viaggiatore — ansioso, con il passaporto scaduto, con il portafogli dimenticato e il bagaglio perduto — è sempre arrivato a destinazione. Miracolosamente. Protetto da una entità impalpabile che i bambini chiamano angelo custode. Da qualche parte ho sentito l’espressione «innocence abroad». Traduco male, pensando all’innocenza senza età, libera in mare aperto. Valerio Pellizzari