Angela Urbano, la Lettura (Corriere della Sera) 01/04/2012, 1 aprile 2012
LA «FEBBRE» DOPO RIMBAUD. LA STAGIONE ALL’INFERNO DI KLAUS KINSKY
«Parole scagliate come un urlo improvviso»: così il grande attore Klaus Kinski definì i versi della sua raccolta poetica Febbre. Diario di un lebbroso. Composta alla fine della Seconda guerra mondiale, quando Kinski (nato nel 1926) aveva poco più di vent’anni, poi smarrita, Febbre fu venduta all’asta nel 1999 e pubblicata nel 2001. La poesia di Kinski nasceva da un dolore irredimibile, e risentiva dell’influsso dei poeti maledetti che leggeva, soprattutto Villon e Rimbaud. Visioni, deliri, un’impossibile salvezza, facevano del poeta un «lebbroso», perso in una solitudine infinita, da dove si poteva «solo urlare tra le mani, seguitando a piangere». Rimbaud aveva scritto: «Il poeta deve farsi veggente mediante una lunga, immensa e ragionata sregolatezza». In Febbre Kinski già si identificava con Cristo, e continuò a farlo per tutta la vita. Un Cristo quasi isterico, incompreso e folle. Ma folle Kinski lo era davvero: a 26 anni aggredì alcuni funzionari di un teatro di Berlino e fu internato in un ospedale psichiatrico, dove scrisse versi come questi: «Impudenti fino al fondo del cuore gli uomini! / che cosa volevano da me! io non avevo fatto niente!! / avevo solo lacerato la mia vita». Sulla cartella clinica, ritrovata pochi anni fa, i medici annotarono: «Diagnosi temporanea: schizofrenia. Definitiva: psicopatia». La stagione all’inferno di Kinski durò tutta la vita: «Io vado in cerca di me stesso — e quando mi trovo, io sono il mio peggior nemico». Morì per un infarto nel 1991. Le sue ceneri furono disperse nell’Oceano Atlantico.
Angela Urbano