Federico Fubini, la Lettura (Corriere della Sera) 01/04/2012, 1 aprile 2012
ANCHE LA MONETA E’ UN TWEET: COSI’ BITCOIN SFIDA EURO E DOLLARO
Fra i tanti modi in cui si può catalogare il mondo, uno sempre più diffuso è dividerlo fra scala orizzontale e verticale. Non che abbia molto senso definire tutto in termini così astratti, è più pratico sperimentare le applicazioni. Nelle telecomunicazioni, per esempio, verticale è il sistema delle vecchie compagnie telefoniche che distribuiscono tutte le nostre chiamate. Orizzontale invece è il protocollo Internet Skype con cui ci si chiama da computer a computer, o da uno smartphone all’altro, senza l’intermediazione di un’autorità centrale. Nell’informazione verticale è questo o molti altri grandi quotidiani internazionali, dal «New York Times» a «El País»; verticali sono la «Cnn» o «Al Jazeera». Orizzontale invece è Twitter, dove l’informazione si scambia fra pari da punto a punto della rete del social network. In entrambi i casi la dimensione orizzontale è venuta dopo e fa concorrenza a quella verticale.
E nella finanza? Verticale, da decine di secoli, sono il dollaro, l’euro e le monete da cui entrambi discendono. Un’autorità non a caso chiamata «banca centrale» crea la valuta e ne regola la circolazione; ognuno di noi la accetta dal prossimo non sulla base della fiducia verso quella persona, ma verso la banca centrale e soprattutto verso il governo o i governi da cui questa è espressa. Verticale sono la banca privata o la società di carte di credito attraverso cui passano tutti i nostri pagamenti al prossimo.
Ma questo non esaurisce il mondo della finanza. Non più. La differenza rispetto agli ultimi 30 secoli circa, adesso che esistono i computer e la Rete, è che è nata e si diffonde anche una finanza «orizzontale». E anch’essa sta dimostrando una capacità di competere con quella «verticale» che fino a poco tempo fa era l’unica ritenuta possibile.
L’esempio più dirompente, benché niente affatto l’unico, è bitcoin: sta al dollaro, e all’euro, come Skype sta a Tim o a Vodafone. Esiste una mappa (online) dei beni e dei servizi che oggi si possono pagare in bitcoin, una quasi-moneta che esiste solo in forma elettronica ed è prodotta da un algoritmo crittografato anziché da una banca centrale. Si può comprare una notte alle Urban Living Suites di Toronto, Ontario, o al B&B Del Corso in Corso Garibaldi 340/c a Napoli; si può cenare al Carena Bar di Cefalonia, pranzare a Manhattan o a Brooklyn, o prenotare una vacanza con l’agenzia di viaggi ufficiale della Corea del Nord. Sul sito (criptato) Silk Road, con bitcoin si può comprare un chilo di eroina, una partita di hashish e poi dare un voto sulla qualità e i tempi di consegna come su Amazon e eBay.
Bitcoin è uno strumento di pagamento anonimo, creato da una persona che non dà più notizie di sé da un anno e di cui non si conosce l’identità, solo lo pseudonimo: Satoshi Nakamoto. Un bitcoin oggi vale circa 5 dollari, dopo aver debuttato a pochi cents ed essere arrivato a un picco di 29 dollari nella primavera dell’anno scorso; a questo tasso di cambio, il circolante ha un valore totale di circa 40-45 milioni di dollari. Ma più che il valore, sono l’anonimato e la sfida implicita alle monete ufficiali a risultare attraenti per i paria nella comunità globale come i trafficanti di droga o il governo di Pyongyang.
«Anche i pionieri erano gente che non si faceva la doccia tutti i giorni — commenta Denis Roio, in arte Jaromil —. L’uso iniziale di bitcoin da parte di soggetti marginali è normale. Ma non si proibiscono i coltelli da cucina perché ci si può uccidere una persona». Jaromil, 35 anni, abruzzese, sviluppatore di software in Olanda, dottorando al Planetary Collegium di Plymouth, è uno dei pochi (e dei più anziani) che sia stato capace di contribuire alla programmazione di bitcoin. Jaromil la vede come una moneta «peer-to-peer», da pari a pari: «Avvicina alle persone la possibilità di concludere transazioni senza bisogno di istituzioni. Non c’è più una banca centrale protetta da molta polizia all’esterno, un caveau e un segreto su come si fanno le banconote all’interno. Basta un algoritmo molto potente».
Tra le qualità che Satoshi Nakamoto ha infuso nel sistema di bitcoin due spiccano e ne fanno un potente mezzo «peer-to-peer», proprio come Skype o Twitter. La prima è che la rete bitcoin è estremamente resistente agli attacchi degli hacker: Satoshi deve essere un grande professionista di software e crittografia con esperienza nella finanza, capace di costruire un enigma matematico quasi inattaccabile. La seconda qualità vitale di bitcoin è che le transazioni in questa «critpo-moneta» sono verificabili e non falsificabili: in sostanza, come non si può pagare lo stesso euro a due persone diverse, così non si può trasferire loro (elettronicamente) lo stesso bitcoin. Nel caso dei normali bonifici online è la società delle carte di credito o pagamento, Mastercard, Visa o PayPal, a garantire che qualcuno non paghi con euro o dollari che non ha o ha già dato ad altri. «Per bitcoin invece questa funzione viene svolta in "peer-to-peer" da garanti decentrati detti miner», spiega Arturo Filastò, un programmatore italiano residente negli Stati Uniti che in passato è stato un miner lui stesso. Questi garanti vengono remunerati in bitcoin, con i quali spesso finanziano cause «politicamente scorrette» come Wikileaks: molti di loro hanno visto nell’embargo delle banche e società di carte di credito sul gruppo di Julian Assange una vera e propria ingiustizia.
Bitcoin abita una zona grigia ai margini della legge, sul filo di una sfida «P2p» alla sovranità degli Stati. Ma non è il solo caso nel suo genere, solo il più estremo di un’epoca in cui Internet e la crisi rimettono in discussione i pilastri del sistema. Come un messaggio nella bottiglia, Satoshi ha iscritto nell’algoritmo di cui è padre il titolo di un articolo del «Times» di Londra sul ruolo delle banche nei crolli degli ultimi anni. E proprio gli istituti privati sono sottoposti a una sfida per certi aspetti simile da parte di un sistema diffuso in Africa (specie in Kenya) prima ancora che nel mondo avanzato. Si chiama M-Pesa ed è un sistema di pagamenti da cellulare a cellulare gestito da una compagnia telefonica (Safaricom) per proprio conto, non per conto delle banche come nel caso dell’americana Square. «La perdita di questa funzione per le banche equivale alla perdita di potere sulla moneta da parte degli Stati», spiega Jon Matonis, un blogger americano che a lungo è stato in contatto con Satoshi. «Lo chiamo de-central banking del futuro», dice Matonis.
Vincerà? Skype non ha chiuso Vodafone. Twitter non ha chiuso né il «New York Times» né il «Corriere». È solo iniziata una nuova convivenza che, alla lunga, beneficia sia chi vive in «orizzontale» sia chi preferisce ancora il buon vecchio asse «verticale».
Federico Fubini