Francesco Alberti, Corriere della Sera 01/04/2012, 1 aprile 2012
IL «RE» DEI CANCELLI SENZA EREDI LASCIA LA SUA INDUSTRIA ALLA CURIA —
«Mi piace pensare che, fra non molto, anche i cancelli del Paradiso avranno un impianto Faac...». Voleva essere una battuta tra l’affettuoso e lo scherzoso quella con la quale l’ingegner Giorgio Favaretto salutò sul suo blog il 17 marzo scorso la scomparsa, a soli 50 anni, del suo datore di lavoro, Michelangelo Manini, presidente e proprietario della «Faac», azienda simbolo e tra i leader mondiale nel campo dell’automazione di parcheggi, cancelli, caselli autostradali e dissuasori del traffico, un impero che da Zola Predosa, paese alle porte di Bologna, allunga i suoi tentacoli in oltre 80 Paesi, dopo essere entrata nelle case degli italiani negli anni Ottanta con il famoso spot di un minaccioso leone accucciato davanti al cancello di una villa che veniva aperto a distanza da un Ferrari in corsa nel deserto. Una battuta, quella di Favaretto, che si è invece rivelata addirittura riduttiva rispetto a ciò che è emerso l’altro ieri all’apertura del testamento: si è scoperto, come anticipato da Il Resto del Carlino, che Michelangelo Manini, per tutti «il dottor Manini», ha lasciato l’intero suo patrimonio, a cominciare dalle quote di controllo della «Faac» (pari a circa il 70% dell’intero pacchetto azionario), alla Curia bolognese. «Altro che cancelli in Paradiso! — è il commento che ora gira a Zola Predosa —. Gli faranno ponti d’oro, Lassù...».
Ci hanno messo un po’, negli ambienti della diocesi bolognese, a riaversi dalla sorpresa, anche perché Manini non rientrava nella cerchia degli imprenditori considerati vicini alla Chiesa. «Penso che sia la prima volta che una Curia diventa proprietaria di una multinazionale» ha commentato l’avvocato Andrea Moschetti, che curerà tutti gli aspetti dell’operazione per conto dell’economo dell’Arcidiocesi, Gian Luigi Nuvoli. E non sarà una passeggiata trovarsi improvvisamente nel portafoglio un’azienda, come la «Faac», che non ha mai smesso di crescere dal 1965, quando fu fondata dal padre di Michelangelo, Giuseppe, raggiungendo da allora un fatturato di 214 milioni nel 2011, 12 stabilimenti in Europa, per un organico di 200 dipendenti a Zola e un migliaio sparsi per il mondo. «Un’azienda — spiega Stefano Fiorini, ora sindaco pd di Zola, ma per quasi 20 anni tra i dirigenti della multinazionale — che ha continuato a crescere anche in questi anni di crisi, alla quale Michelangelo dedicava giorno e notte e che non ha mai vissuto contenziosi particolarmente aspri con il sindacato». Domani è il gran giorno: «l’ingresso dei preti», come lo chiamano da queste parti, sarà ufficializzato dal Cda dell’azienda, ma l’orientamento della Curia è quello dell’assoluta continuità. «Certamente — anticipa l’avvocato Moschetti —, il management funziona e si andrà avanti nella direzione tracciata dal dottor Manini». Rassicurazioni che i vertici della multinazionale hanno esteso anche ai dipendenti, rassicurandoli sulla continuità della politica aziendale.
C’è però, in questa storia, una domanda alla quale nessuno per ora sa rispondere: perché proprio alla Chiesa? Michelangelo Manini era un uomo che definire schivo è poco. Figlio unico, aveva perso il padre Giuseppe nel ’91 e la madre nel 2008. Mai sposato, niente figli, viveva da solo nella villa di famiglia all’inizio della salita di San Luca. «Cordiale e raffinato, di se stesso non parlava mai» dice il sindaco di Zola, Fiorini. «Era il primo ad arrivare in azienda e l’ultimo ad andarsene» aggiunge l’ingegnere Favaretto. Di lui non si conoscono hobby o passioni. Niente mondanità, scarsi i contatti con il mondo confindustriale, non parliamo poi della politica. «Coltivava una religiosità molto riservata, andava in parrocchia e faceva beneficenza, ma sempre in maniera anonima» aggiunge Fiorini. Di certo, una scelta ponderata quella di «Mister Faac»: il testamento risulta scritto nel 1992 e mai modificato. Per la Curia, abituata a lasciti di altro tipo, un’esperienza nuova e immediatamente calata nel solco della dottrina sociale: «Useremo questi beni, così provvidenzialmente pervenuti, secondo il comandamento evangelico della carità» fa sapere una nota della Diocesi, che grandina gratitudine verso il suo benefattore: «Con il suo atto, Michelangelo Manini si è esemplarmente innestato nella bimillenaria tradizione del popolo cristiano».
Francesco Alberti