Tommaso Labranca, Libero 1/4/2012, 1 aprile 2012
IL PRIMO DELITTO DI STATO: LA MORTE DI CARAVAGGIO
Un convegno sul modo in cui morì un pittore del XVII secolo non è solitamente cosa che possa affascinare la massa. Quando però il pittore di cui si discute è Caravaggio, la cui breve vita resta ancora costellata da numerosi punti oscuri, scocca una scintilla di interesse in un pubblico che magari sarà poco avvezzo all’arte, ma è sempre attratto dalle dietrologie.
Anche la morte di Michelangelo Merisi non sfugge alla teoria del complotto che tanto piace agli intellettuali tormentati. Non importa essere esperti della materia (Lella Costa e Giulietto Chiesa che pontificano sui veri mandanti dell’attacco alle Torri Gemelle sono l’esempio più lampante di chiacchiericcio infondato), l’importante è avere una teoria differente, anche se non documentata.
Al convegno organizzato questo pomeriggio nell’aula consiliare del Comune di Ladispoli dal Rotary Club locale pare che i documenti non mancheranno. Vincenzo Pacelli, docente di storia dell’arte presso l’università Federico II di Napoli, ne porterà di inediti relativi alla morte di Caravaggio.
Tutti i misteri
Il Merisi ebbe una vita breve e disperata. Il racconto di quell’esistenza dovrebbe essere oggetto di meditazione quotidiana per tutte le viziate superstar dell’arte odierna con stilista-mecenate al seguito. Fino a oggi si è creduto che il pittore fosse morto dopo una rapida successione di eventi degna del montaggio di un film hollywoodiano. Caravaggio, dopo essere caduto in disgrazia presso il Papa che lo condanna a morte, peregrina per il Mediterraneo e cerca di tornare a Roma quando è sicuro di ricevere il perdono del Pontefice. Si imbarca da Napoli dopo essere sfuggito alla morte durante una violenta e misteriosa aggressione. Con poche cose sale su una feluca ma, sbarcato a Porto Ercole, i soldati spagnoli lo fermano scambiandolo per un’altra persona. Risolto l’equivoco, Caravaggio vede ripartire la feluca su cui aveva lasciato il suo misero bagaglio. Inizia a camminare lungo la costa toscana e lì, vittima di un attacco di febbre malarica, stremato e senza cure, muore il 18 luglio 1610.
Questa la storia ufficiale, corrotta da decenni di esaltazioni romantiche, di oblio dovuto a condanne morali, da alterazioni di comodo. L’irrinunciabile Roberto Longhi, nel suo libro su Caravaggio, invita a diffidare dell’anedottica. Come quella secondo cui Caravaggio non cercò di tornare a Roma in feluca, ma per via di terra, trovando la morte ad Arpino, località ciociara scelta dai mitomani perché patria di quel Cavalier d’Arpino che fu prima maestro e poi rivale del pittore bergamasco.
Ogni notizia che riguarda Caravaggio va presa con le pinze. Ultimamente si è messa in dubbio anche la sua località di nascita che pare sia Milano e non Caravaggio, borgo della bergamasca oggi noto per ospitare un santuario cattolico e un altro laico, il dismesso Studio Zeta, la più grande discoteca della Lombardia.
Nel 2010 fu diffusa la notizia che alcune ossa ritrovate a Porto Ercole appartenevano proprio al pittore. Furono esposte in una atmosfera da luna park a Ravenna. Indimenticabile un includente servizio di “Mistero” su Italia 1, con la conduttrice Melissa P. che di fronte alle presunte ossa dell’artista si controllava lo smalto delle unghie.
Ed ecco ora l’ennesimo scoop. Nulla di nuovo, intendiamoci. Sono almeno otto le teorie sulla morte di Caravaggio. Si va dalla malattia al suicidio, dal coinvolgimento di un suo amante all’intervento di un sicario fino alla caduta in mare dalla feluca.
Oggi a Ladispoli si gioca la carta “Angeli e Demoni”: Caravaggio fu ucciso dalle guardie maltesi su mandato del Papa. Secondo il professor Pacelli al Papa «poteva far comodo eliminare un personaggio che metteva in discussione i principi della fede dogmatica della Chiesa e trattava le sacre verità senza nessun decoro». E qui si fa riferimento alle tante tele di Caravaggio rifiutate dal clero perché troppo «sconce» o per la loro scarsa attinenza ai severi canoni pittorici delle storie sacre. Il professore si spinge oltre e vede nel complotto anche lo zampino del viceré di Napoli, del cardinale Scipione e di Costanza Sforza Colonna (ultima a ospitare l’artista fuggiasco), tutti e tre interessati a impadronirsi delle opere del pittore.
Il quale, stando sempre a quanto si dirà oggi nel convegno, non morì a Porto Ercole, ma a Palo, nei pressi di Civitavecchia, mentre arrivava a piedi da Napoli. Non si saprà mai la verità su Caravaggio. L’unica cosa certa è che quel genio, senza aver avuto mai un solo allievo in vita sua, lasciò dietro di sé uno stuolo di emuli, i Caravaggisti.
Ne esistono ancora e tra loro anche un pittore laziale, Venanzoni, che ha dipinto una enorme tela che raffigura Caravaggio imprigionato tra le guardie maltesi. Dipinto poi donato al Comune di Ladispoli ed esposto nella sala del convegno odierno, a beneficio dei flash e delle telecamere che affolleranno il luogo.
No, il sindaco no...
Dove più che di mistero si respirerà aria di marketing. Oltre al quadro del Venanzoni, girerà nella sala del convegno anche un libro sull’enigma della morte caravaggesca firmato da Crescenzo Palliotta, sindaco di Ladispoli appoggiato dal centro-sinistra, più volte rieletto, medico e multiforme autore di numerosi libri su qualsiasi argomento, documentari e dvd. Il capitolo dedicato alla teoria di Palliotta, vibrante di immagini auliche, è già scaricabile gratuitamente da Internet.
Povero Caravaggio. Piccolo bambino muratore mandato a bottega presso un pittore milanese che ne individuò le capacità e quindi inviato a Roma. Giovane omosessuale violento che avrebbe fornito ottima ispirazione a Pasolini. Artista ricercato dal clero e poi da quello messo al bando. Condannato a fuggire da ogni luogo. Rifiutato da vivo mentre oggi, a 400 anni dalla morte, i municipi orfani dell’ICI se ne contendono i miseri resti per attirare un po’ di attenzione e di soldi.
Tommaso Labranca