Giuliano Zulin, Libero 1/4/2012, 1 aprile 2012
«WALL STREET È ANCORA DA COMPRARE»
Aryaman Dalmia è un ragazzo di quasi 15 anni, indiano. Vive a Nuova Delhi e ha scritto “Il Piccolo Libro dell’Investitore. La via maestra sulla Scia di Warren Buffett”. Chw Edizioni, 160 pagine. Un best seller mondiale, non fosse altro perché spiega con una semplicità disarmante ed esempi reali i principi fondamentali della teoria dell’investimento enunciata da Benjamin Graham, messa in pratica dal suo primo discepolo, l’oracolo di Omaha Warren Buffett. L’amore per la finanza nasce in famiglia: suo padre è l’amministratore delegato di Landmark holdings, una delle più importanti conglomerate indiane. Ma quali sono i trucchi del buon investitore? Ebitda, P/e (cioè il rapporto fra il prezzo dell’azione e l’utile) e il Roce, ovvero il ritorno sul capitale impiegato. Con questi parametri il successo sembra assicurato. Buffett insegna.
Aryaman, ma tu hai un portafoglio personale? Operi da solo? E con quale metodo?
«No, non ho un fondo personale e non ho ancora iniziato a investire perché non conosco ancora bene come si usa un conto. Sto comunque leggendo un libro e spero di poter iniziare ad operare da quest’estate».
Che tipo di consigli hai ricevuto da tuo padre e da tuo zio? Ti hanno incoraggiato a interessarsi di finanza?
«Mio padre e mio zio seguono entrambi la tecnica d’investimento di Warren Buffett. Ho imparato molto seguendo i loro investimenti, specialmente su StateBank of India. E ho compreso il perché un’ottima società come Unilever India sia un mediocre investimento perché è sopravvalutata. Ho analizzato il giro d’affari e il sentiment del mercato tra il 2007e il 2010 e ho cercato di capire come loro, mio padre e mio zio, sono riusciti a trovare occasioni per straordinari investimenti. Mi hanno invece incoraggiato a pensare in maniera autonoma e indipendente e ad avere coraggio nel seguire un’analisi razionale».
Come sei venuto in contatto con Buffett? L’hai mai incontrato di persona?
«L’ho incontrato quando è stato in India nel marzo dello scorso anno. Aveva invitato a pranzo una decina di persone e io ho avuto modo di parlarci prima di mangiare. Abbiamo passato 20 minuti a parlare di investimenti, di economia indiana, del mio libro... L’ha apprezzato e ora siamo in contatto via mail».
Nel tuo libro analizzi i business e le azioni indiane: segui anche il mercato di altri Paesi?
«Attivamente seguo solo le azioni del mio Paese. Ovviamente leggo molto sul mercato globale. E i mercati americani – Wall Street – ora sembrano poco cari soprattutto se confrontati con la Borsa indiana e con molte piazze dei cosiddetti mercati emergenti».
Dunque sarebbe ora di comprare. Quali sono le tue azioni preferite?
«Mi piace molto il settore “consumi” e quello bancario ma molti titoli sono sopravvalutati. Invece altri settori in rapida crescita e non ancora troppo costosi sono la componentistica auto e il tessile. Certo, bisogna stare attenti alla marginalità, alla capacità di fare utili».
Conosci la Borsa italiana?
«Mi dispiace, ma non ne so niente... ».
L’India ha comunque molti interessi con le aziende italiane: secondo te dove potrebbero esserci opportunità per noi e per voi?
«Vedo grandi opportunità nei consumi, nell’engineering e sui servizi finanziari».
Secondo te la crisi europea è finita? E il metodo tedesco, che ci ha imposto non poche tasse con il governo tecnico, è quello giusto per salvare il Vecchio continente?
«Credo che l’Europa stia per attraversare un momento difficile che durerà alcuni anni. Penso che la soluzione tedesca sia severa, io però non sono un grande fan del populismo. L’Europa dovrebbe agire più come gli Stati Uniti. L’atteggiamento del Giappone negli ultimi vent’anni ha reso Tokyo uno spettatore dell’economia globale. Immagini cosa sarebbe stato il Giappone se non fosse entrato in depressione per un ventennio... Temo che l’Europa farà la stessa fine».
Quali strumenti usi per analizzare i titoli? Mi risulta che non ti limiti solo a pesare l’Ebitda e il Roce ma utilizzi «anche un approccio sociologico...
«Comincio col valutare i fattori qualitativi, per esempio dimensione del mercato, qualità dei prodotti, quote di mercato della singola azienda, le risposte dei consumatori, la gestione della qualità e via dicendo. Ma alla fine, se non riesci a correlare i parametri finanziari alle informazioni qualitative, è meglio non investire».
La teoria del “value investment” non viene applicata dalla grande massa degli investitori. Perché? È una prova della profonda irrazionalità dei mercati?
«La maggior parte degli investitori segue l’umore del mercato, come se fosse una scorciatoia per analizzarlo. Quindi sono rialzisti quando i mercati stanno salendo e ribassisti quando i mercati scendono. Questa è la ragione per cui i mercati sono preda della irrazionalità. Non hanno la capacità, il tempo e talvolta gli strumenti mentali per fare una valutazione oggettiva. Non bisognerebbe mai comprare una Honda Accord al prezzo di una Mercedes, ma sui mercati finanziari potrebbe anche aver senso».
Il sentimento popolare assegna a Goldman Sachs un potere oscuro, forte e non democratico di controllare e influenzare i mercati. È una sopravvalutazione oppure c’è un fondo di verità?
«Troppo spesso le grandi banche d’affari sono in conflitto d’interessi con i loro clienti. Altrettanto spesso riescono a fare soldi utilizzando la leva finanziaria e non perché hanno capacità superiori. Ma è sbagliato identificare i problemi del mercato con le investment bank. Sono i comportamenti umani, con le inevitabili debolezze, a creare problemi. Semmai le varie Goldman amplificano questo fenomeno».
Che scuola frequenti? E cosa ti aspetti dagli studi e poi dalla vita?
«Studio alla Vasant Valley School a New Delhi. Le materie sono un mix di scienza, matematica e scienze sociali. Crescendo voglio studiare Economia e Commercio. Sono un semicredente indù, ma mi considero un cittadino del mondo».
Hobby?
«Suono la chitarra e gioco a cricket».
Giuliano Zulin