Gian Artuto Ferrari, la Repubblica 1/4/2012, 1 aprile 2012
i approssima il 2014, anno in cui è ambientato l´immortale Blade Runner, ma non si vede traccia di colonie extramondo, di bastioni di Orione e di porte di Tannhäuser
i approssima il 2014, anno in cui è ambientato l´immortale Blade Runner, ma non si vede traccia di colonie extramondo, di bastioni di Orione e di porte di Tannhäuser. E soprattutto di replicanti, cioè di androidi, neanche l´ombra. In compenso però non scarseggiano i libroidi, quegli oggetti cioè che dei libri hanno tutte le fattezze, sia fisiche, sia commerciali, sia propriamente libriche (dispongono di un autore – anche se a volte solo nominale –, di un editore, di un copyright, spesso di un indice), ma dei libri non hanno l´anima. O, più umilmente, non hanno il capo e la coda, l´invenzione di una storia, il bene di un concetto, un autore vero. Al contrario dei replicanti di Ridley Scott, i libroidi non sono immersi in un´aura tragica, sembrano piuttosto soddisfatti di essere quello che sono e di occupare stabilmente posizioni elevate nelle classifiche. Più che ai bellissimi e disperati Prys e Roy, assomigliano ai frequentatori del bar di Guerre stellari, allegri mostri e gaglioffi come loro. Numerose sono le specie e, all´interno della specie, le varietà. Si può partire da quelle più antiche, addomesticate da tempo: i libri di oroscopi; di ricette (vecchia maniera, però, con in copertina suore pacioccone e allegre massaie); di barzellette; di vignette; di blande ginnastiche per il mal di schiena; di diete (anche queste però old fashioned, severe e con un´aria da ospedale); di regole infallibili per aver successo nella vita, per vendicarsi dei superiori, per evitare i ricorrenti disastri sentimentali; di strafalcioni (genere amatissimo e parente stretto dei temi scolastici, veri e semiveri); degli scemenzai; dei massimari; dei detti celebri; delle citazioni di Shakespeare, Orazio, Tolstoj, Dante, Kant e del Vangelo ad uso, prevalentemente, dei manager. Attenzione però a non smarrire il ben dell´intelletto: all´interno di questi generi non vi sono solo libroidi, ma anche libri veri e propri, con barba e baffi. Ad esempio, all´interno delle ricette per così dire classiche figura la classicissima Scienza in cucina e l´arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, uno dei libri fondativi dell´Italia unita. O il Contaminuti di Elena Spagnol, inizio dell´emancipazione femminile dalla cucina. E tra i libri di temi compare Io speriamo che me la cavo di Marcello D´Orta, un capolavoro di forza espressiva e di ironico meridionalismo. Tutt´altra cosa i libroidi di nuova e più recente generazione. Abbandonata quell´aria dimessa e senza pretese, quella remota ma rassicurante parentela con i manuali Hoepli, i nuovi libroidi sono aggressivi e sfacciati, metaforicamente tatuati e con scarpe a punta, con le copertine più´ fosforescenti che ci siano («un cretino fosforescente», diceva D´Annunzio di Marinetti). L´operazione fondamentale che ha trasformato i vecchi e paciosi libroidi in questi pericolosi mutanti è stato l´innesto del concetto di celebrità e la conseguente nascita e proliferazione dei celebrity books. Questo ha comportato una completa rotazione nella natura del libroide: al centro non c´è più la cosa in sé – la ricetta di cucina o la barzelletta –, ma il personaggio che si pone non solo o non tanto come autore vero e proprio, quanto come mediatore e come garante ultimo tra la cosa e il pubblico. Cadono quindi tutte le distinzioni di genere e viene invece alla ribalta con dimensioni sovraumane (ahi, Nietzsche, ahi, Adorno, che fine avete fatto...) il personaggio celebre. Calciatori, cantanti, attori, presentatori, comici, politici, conduttori, capitani d´industria, personaggi della cronaca, tutto il vasto popolo delle celebrità – il regno degli dei – si benigna di elargire ai comuni mortali i propri doni: i loro libroidi, appunto. I quali libroidi non sono vincolati a un preciso contenuto: sono segmenti, depositi, grumi di opinioni, episodi, ricordi, materiali vari, che si addensano e trovano il loro comune denominatore attorno alla celebrità. La porta che immette sul paradiso, o sull´inferno, delle celebrità è lo schermo televisivo. Più esattamente si definisce celebrità chi ha una presenza istituzionale (il conduttore e assimilati) nella televisione o chi la frequenta con regolarità (l´ospite). Per gli uni e per gli altri il libroide è un accessorio indispensabile, sia come riconoscimento definitivo del proprio status di celebrità, sia come mezzo di penetrazione nel maggior numero possibile di programmi al fine, apparente, di presentarlo. Apparente perché in realtà il libroide non è lui l´oggetto dell´operazione di marketing, ma lo strumento della vera operazione che ha per oggetto la celebrità stessa. Che le cose stessero prendendo questa piega lo si era visto del resto da tempo: nel 1994, dunque quasi vent´anni fa, uscì negli Stati Uniti quello che si può considerare il primo vero libroide di nuova generazione. Si intitolava In the kitchen with Rosie, In cucina con Rosie ed era un libro di ricette di questa Rosie, cuoca personale di Oprah Winfrey, inventrice, autrice e conduttrice del più originale e seguito talk show americano. Già qui, e con più chiarezza che altrove, si vedeva appieno la funzione mediatrice della celebrità: Oprah non faceva nulla, tranne, si suppone, mangiare. Ma era lei a presentare Rosie e a garantire per Rosie. L´avveniristico libroide fu pubblicato da Knopf, la casa editrice più chic e più high brow d´America, che aveva faticato per anni attorno a Thomas Mann (Alfred Knopf si recò di persona nel porto di New York, in barca, ad accogliere l´esule Mann che arrivava in transatlantico dalla Germania). E con legittima soddisfazione del publisher di Knopf, il carismatico Sonny Mehta, le ricette di Rosie vendettero più di tutti i grandi autori letterari della casa messi insieme e per tre anni fecero, come si dice, i bilanci dell´editore. Anche qui però occorre discernimento: nella selva dei libroidi, anche di nuova generazione, si celano libri veri e belli. Si veda per fare un esempio, l´autobiografia del tennista Agassi, Open o quella del calciatore Ibrahimovic, Io Ibra. Due libri non solo piacevoli, ma di gran fattura. In Italia gli ingegneri genetici dei libroidi sono stati numerosi ( e anche io ho fatto la mia parte). Ma due pionieri meritano una menzione speciale. Innanzitutto Paolo Caruso, un Cristoforo Colombo che per primo – fondando nel 1977 la mitica collana Bum – mise piede sul vasto e incognito continente che avrebbe poi denominato Varia. E vi piantò il vessillo del suo re di Spagna, che era la Mondadori. In secondo luogo Beppe Cottafavi, più giovane di una generazione e anche per questo più votato al male, vero inventore dei nuovi libroidi. Persone culturalmente e antropologicamente diversissime, accomunate però da una origine similare nell´alta cultura, giacché, come è noto, si scende più facilmente di quanto si salga e quando si è vista la cultura vera non ci si illude di trovarla o peggio di farla nella editoria. Allievo, Caruso, di Enzo Paci apparteneva a quella tradizione fenomenologica così rilevante nell´ambiente milanese e decisiva per il côté colto della Mondadori, quello di Alberto e del Saggiatore. Allievo, Cottafavi, di Umberto Eco traeva particolare diletto dalle applicazioni concrete della semiotica, disciplina molto meno astratta di quel che normalmente si pensi. Non sarebbe invece giusto affiancare a queste figure (o figuri?) Gabriella Ungarelli, non solo per la sua eleganza schiva, ma anche per la sua pervicace affezione ai libri, quelli veri. Nelle classifiche americane la quasi totalità dei titoli di non fiction è costituita da libroidi. Quella che in Italia si chiama saggistica, per non parlare dell´alta saggistica, ha una presenza sporadica, occasionale, non costante. Probabilmente quel mercato si sta polarizzando: da una parte le persone colte che leggono letteratura contemporanea, narrativa di intrattenimento di alta qualità, saggistica di cultura. Dall´altra persone meno coltivate che leggono narrativa seriale o di derivazione (libri clonati o cloni, un altro orrore genetico di cui bisognerà occuparsi) e, appunto, libroidi. Più libri di autoformazione, genere pressoché sconosciuto in Italia. Il punto è capire se questi due mercati, uno piccolo e uno grande, uno alto e uno basso sono zolle continentali che si stanno definitivamente separando. Il postulato essenziale su cui si regge l´editoria libraria, la sua ragion d´essere, è l´idea di continuità, l´idea che il mercato sia unico e transitabile, che si cominci magari dal basso, ma che passo dopo passo si riesca a giungere in alto. Altrimenti che senso avrebbe promuovere la lettura? Tanta fatica per far leggere cascami televisivi? Certo, è una visione illuminista e gradualista, quella fondata sul postulato della continuità. Ma se questo tessuto continuo si dovesse irrimediabilmente lacerare, finirebbe per prevalere non solo nei fatti, ma nella cultura editoriale, una visione gnostica: pochi illuminati contro una massa di brancolanti nelle tenebre dei libroidi. Il che non è da augurarsi in ogni caso e sotto ogni rispetto, ma men che mai in Italia, per la semplicissima ragione che il mercato italiano è troppo piccolo per poter reggere un mercato separato per i felici pochi. Negli Stati Uniti, il più grande mercato del mondo, vi sono abbastanza eletti da poter ipoteticamente avere una produzione tutta per loro; ma in Italia no. Non ci sarebbe alternativa alla pura e semplice sparizione di una parte rilevante, non si vuole dire la migliore, dell´editoria e fors´anche della cultura.