Maria Pia Fusco, la Repubblica 1/4/2012, 1 aprile 2012
ROMA «Ho fatto tutto con dieci anni di ritardo. Mi sono sposato per la prima volta a trentaquattro anni, sono diventato "conosciuto" dopo i trentacinque mentre tanti colleghi erano già famosi a venti
ROMA «Ho fatto tutto con dieci anni di ritardo. Mi sono sposato per la prima volta a trentaquattro anni, sono diventato "conosciuto" dopo i trentacinque mentre tanti colleghi erano già famosi a venti. E ho avuto il primo figlio a cinquanta. Vorrà dire che mi toccherà vivere dieci anni in più del previsto, pazienza». Con ritardo, tra teatro, cinema e televisione, Luca Zingaretti ha costruito una carriera ricca di una straordinaria varietà di personaggi, dal feroce boss mafioso fino a nobili eroi come Perlasca e don Puglisi. Ma prima di tutto questo ci fu una scelta: il calcio o il teatro? «La prima passione è stata il calcio, ho giocato per anni con il San Paolo Ostiense, ero anche uno che aveva delle possibilità: giocavo da mediano, quello che non si prende i riflettori, ma fatica, si fa male, lacrime e sangue. Poi mi prese il Rimini, ma fu una breve esperienza perché intanto avevo fatto domanda per entrare all´Accademia d´arte drammatica, la mia seconda passione. Mi ammisero». E scegliere non fu difficile: «All´epoca Rimini d´inverno era divertente come un luna park chiuso». Gli anni dell´Accademia furono esaltanti: «C´era il sogno del futuro, del "saranno famosi", un periodo bellissimo, ci si divertiva ma si studiava come pazzi. L´Accademia non aveva una lira, eravamo ospiti di una scuola, però come in tutti i momenti di crisi c´era un grande fervore, la gente veniva a insegnare gratis, lavoravamo otto ore al giorno, la sera avevamo una tesserina che ci permetteva di andare in tutti i teatri d´Italia, dopo si andava a mangiare e si discuteva ancora di teatro. Aldo Trionfo, un regista teatrale eccezionale, nella direzione dell´Accademia diede un´impronta felice, invitava gli insegnanti più diversi, da Marisa Fabbri a Paolo Panelli». Degli insegnamenti gli è rimasto il rispetto per il lavoro - «la dignità dell´attore è nella consapevolezza di essere un narratore di storie, dunque un portatore di valori» - e la disciplina: «Se in pausa ti sedevi nel proscenio in costume, ti sgridavano: stavi mancando di rispetto all´abito. Quando ti spogli puoi sbragarti come ti pare, dicevano, ora stai in piedi». L´esordio non poteva essere più felice: «Il mio primo lavoro da professionista è stato con Luca Ronconi in Santa Giovanna di Shaw. È fondamentale cominciare al top. Per fare una metafora calcistica, è come uno che va a giocare nel Barcellona piuttosto che nel Frosinone: con tutto il rispetto per il Frosinone, una cosa è giocare in serie C un´altra è fare la Coppa del Mondo». Teatro ad alto livello e cinema, finché nel 1999 arriva il commissario Montalbano che ancora non lo ha abbandonato (almeno per altri quattro episodi in lavorazione). Per il pubblico della serie l´identificazione tra l´attore e il personaggio creato da Camilleri è totale. A Porto Empedocle una statua che rappresenta il commissario ha la faccia di Luca Zingaretti. «In realtà non abbiamo molto in comune. Non a caso passarono sei mesi di provini prima che mi scegliessero tra la nutrita pattuglia di pretendenti al ruolo. Avevo amici appassionati dei libri di Montalbano che mi minacciavano: "Non lo fare, non c´entri niente, ce lo rovini". Lo stesso Camilleri diceva che sì, ero un bravo attore, ma non ero il suo Montalbano. L´aveva scritto pensando a Pietro Germi, Il ferroviere, con i baffi, quella sua andatura, i capelli. E ancora ci tiene a dire che non si è mai ispirato a me, che l´autentico Montalbano è altro da Zingaretti. Perciò l´immedesimazione è stata molto difficile e non vorrei incensarmi ma è frutto del mio lavoro. Il personaggio di Montalbano - non è elegante dirlo, ma lo dico - estrapolato dal contesto e messo in un altro film è sempre sopra le righe, ha bisogno di un registro recitativo che non appartiene a me. Io sono uno sobrio che tende a sottrarre. Lui ripete "minchia", fa le facce, è eccessivo, è un personaggio da commedia. Eppure, in quel contesto, tutto torna. Sembra naturale. Il suo successo per quanto mi riguarda è dovuto al fatto che credo di essere riuscito a restituire al personaggio le sue caratteristiche: il suo essere burbero, la sua moralità interiore che non è la morale: Montalbano è uno che tante volte se ne frega della legge e usa una legge sua, non arresta il poveraccio che ha fregato una mela. Conserva il sapore di capperi, di olive, di basilico, di pomodoro che escono dalla penna di Camilleri e che lo rendono unico». L´ammirazione per lo scrittore siciliano viene da lontano. «Camilleri insegnava regia televisiva in Accademia, e poiché non c´erano soldi per affittare moviole e telecamere, lo faceva con i suoi racconti, con la sua capacità di illuminare le storie, anche le più banali. Ci incantava, e non era facile, eravamo una classe di figli di mignotta, ventenni esaltati, pieni di donne, ci sentivamo artisti. Andrea era brutto, ma tutte le ragazze ne erano innamorate per quanto era affascinante. Si è scritto tanto su di lui, ma nessuno dice la cosa più bella. Il suo lavoro è stato riconosciuto tardi, e questo si sa. Per anni Camilleri è stato un funzionario della Rai che facevano lavorare poco. Ma lui non ha mai permesso - ed è questa la bellezza - che la mancanza di successo gli rovinasse l´esistenza. Conscio del suo valore, senza complessi nei confronti di altri colleghi, la mattina si guardava allo specchio. Il mancato riconoscimento non ledeva la sua autostima. E così ha sempre vissuto con grande leggerezza e divertimento». Un insegnamento prezioso per quanto riguarda il rapporto con il successo è anche quello ricevuto da Suso Cecchi D´Amico, alla quale Zingaretti ha dedicato un documentario. «Suso diceva che una cosa va fatta perché piace a te, non per il successo. "Il successo", diceva, "è come una bella giornata, ti devi aspettare che cambi". E se penso invece a quante volte chi fa il mio mestiere va in depressione per un provino sbagliato, per una chiamata che non arriva, per una critica negativa.... Voglio dire: mi rendo conto che si può star male, ma per non più di tre minuti. Dovremmo riuscire tutti ad avere quella particolare capacità che ha Camilleri di trovare l´eccezionale nella normalità, e di vedere il bello dove altri non lo vedono. La nostra vita sarebbe più luminosa». A rendere più luminosa quella di Zingaretti e a cancellare quella sua espressione accigliata, unica somiglianza con Montalbano, ci ha pensato Emma, nata l´estate scorsa dal legame con l´attrice Luisa Ranieri, cominciato sul set di Cefalonia. «Io sono uno che tende alla malinconia, e Luisa per me è stata davvero una luce. Il 2011 è stato un anno importante, la paternità a luglio e i cinquant´anni a novembre. Ma non ho fatto bilanci, li faccio ogni sera, scrivendo su un diario le cose, gli incontri, gli stati d´animo. La crisi del cinquantenne? Crisi di che? Mi sento bene. È così bello quello che mi è successo. Quando è nata Emma io, nevrotico del lavoro, per un mese e mezzo ho cancellato ogni impegno, sono stato a Taros, in Grecia, dove Luisa girava Immaturi, perché volevo stare con la bambina. Anche ora cerco di evitare tutto quello che mi porterebbe lontano da Emma. Con lei scopri il senso del mondo, rivivi cose che quando le hai vissute non eri ancora in grado di capire, valuti ciò che è veramente importante nella vita. Non credo di essere mai stato così felice. Tocco ferro ogni volta che ci penso ». Le sue vecchie passioni sono comunque ancora lì. Finite le riprese di Montalbano, a ottobre Zingaretti tornerà in teatro con Torre d´Avorio, un testo di Ronald Harwood sulla necessità di schierarsi. Poi il cinema, un paio di film, e soprattutto la speranza di finire la sceneggiatura che sta scrivendo da tempo su una storia di donne e di curarne la regia l´anno prossimo. Resiste anche la passione per il calcio, sia come tifoso della Roma che con l´impegno di occuparsi dell´immagine dell´Arezzo. E soprattutto resiste la passione per la politica, che ha in comune con il fratello (presidente della Provincia di Roma ndr): «Nicola sarebbe stato un grande regista se non fosse passato alla politica». Quanto a lui, la politica è occuparsi di problemi sociali, e nel lavoro scegliere di interpretare un certo tipo di ruoli - Nenni, Perlasca, don Puglisi. «Non penso che la nostra classe politica sia incapace, anzi. È stata capacissima di tenere il Paese nell´ignoranza, di addormentare le coscienze e risvegliare gli egoismi individuali. Il mio timore è che certi individui, responsabili del disastro, si stiano riorganizzando per tornare. Non sarà facile liberarsene. Forse avremmo bisogno di qualcosa. Una rivoluzione francese».