Marco Bellinazzo, Il Sole 24 Ore 30/3/2012, 30 marzo 2012
IL FISCO TROVA UN MILIARDO NEL PALLONE
Un miliardo di euro. È questo il contributo che il "comparto" del calcio professionistico italiano paga ogni anno al Fisco. I dati sulle tasse e i versamenti previdenziali delle società professionistiche sono la principale novità del "ReportCalcio 2012" presentato da Figc, Arel e PricewaterhouseCoopers, ieri mattina nella sede dell’Abi a Roma.
Il focus sull’anno d’imposta 2009 (l’ultimo disponibile) evidenzia sia l’impatto del costo del lavoro sui bilanci dei club, sia le imposte versate in "proprio" dalle aziende calcistiche (Iva e Ires). Naturalmente è la serie A a fare la parte del leone "accollandosi" quasi l’80% degli 875 milioni pagati al Fisco, mentre la serie B spende in tributi "solo" 120 milioni (il 14%) e la Lega Pro 67 milioni (il 6 per cento). In particolare, il valore delle ritenute (le imposte dovute dai calciatori-dipendenti e trattenute dalle società quali datori di lavoro) ammontano a 524 milioni di euro in rapporto all’entità degli stipendi pagati al personale sportivo e non (pari a 1,3 miliardi di euro). Rispetto all’anno d’imposta 2008, il carico fiscale sugli ingaggi corrisposti agli atleti è aumentato di quasi 20 milioni. Queste cifre sono al netto delle detrazioni e dei crediti d’imposta eventualmente riconosciuti per le imposte pagate all’estero a titolo definitivo. Anche se questo scarto dovrebbe incidere poco, essendo gli atleti stranieri residenti fiscalmente in Italia.
Tra le ritenute vanno poi citate quelle effettuate sui compensi dati a lavoratori autonomi e sulle provvigioni. Si arriva nel 2009 a 9,3 milioni di euro per una spesa delle squadre che sfiora i 47 milioni di euro.
Altra imposta indice dell’altro costo del lavoro che caratterizza il sistema calcio italiano – che in media assorbe il 71% del fatturato – è l’Irap che vale circa 43 milioni.
Il ReportCalcio 2012 fornisce, inoltre, news sui redditi dei calciatori. Sempre nell’anno d’imposta 2009 risultano come contribuenti 11.245 atleti professionisti. La maggior parte (8.346), arruolati nelle serie minori o giovani contrattualizzati al minimo, dichiara meno di 35mila euro. Un altro gruppo consistente (1.929) se la passa meglio portando a casa "stipendi" fra i 35mila e i 200mila euro annui. Mentre denunciano redditi superiori alla fascia dei 200mila euro in 970. Generalmente si tratta degli atleti che militano in serie A (701), che mettono insieme un ammontare di reddito di poco inferiore al miliardo di euro (per una media di 1,3 milioni a testa). In serie B, sono in 230 a dichiarare oltre 200mila euro (con un ingaggio medio di 400mila euro) e in Lega Pro, Prima Divisione, 39 (con compensi che mediamente si aggirano sui 300mila euro). Nella vecchia serie C, in effetti, il 90% dei tesserati ha contratti con ingaggi sotto i 60mila euro all’anno.
La previdenza dei calciatori, invece, è costata ai team 95 milioni nel 2010 (erano 90 l’anno prima), in virtù di contributi tutto sommato bassi in rapporto agli stipendi.
Passando alle altre imposte a carico delle aziende calcistiche, un quinto del totale è imputabile all’Iva (208 milioni). L’Ires, data la situazione economica-finanziaria dei club, con appena il 18% del totale della platea in utile, e una perdita netta aggregata di 428 milioni (più diffusamente sul punto si veda l’articolo a fianco), rende all’Erario solo 8,4 milioni. Il Report di Figc, Pwc e Arel, sottolinea, peraltro, come tra le società che liquidano ordinariamente l’imposta solo il 4% ha un reddito imponibile, proprio per l’utilizzo (cosiddetto "a riporto") delle perdite generate negli esercizi precedenti.
Vale, infine, 155 milioni di euro il gettito derivante dalle scommesse sul calcio che hanno raggiunto una raccolta complessiva nel 2011 di 3,4 miliardi.