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 2012  marzo 30 Venerdì calendario

Ora il Nordest è al tracollo: cresce solo un’impresa su 10 – Il fatturato cala. E la fiducia nel futuro gli va dietro

Ora il Nordest è al tracollo: cresce solo un’impresa su 10 – Il fatturato cala. E la fiducia nel futuro gli va dietro. Scarseggia il denaro, non il lavoro. Le banche fanno poco o nulla per facilitare l’uscita da questo abisso. È un ri­tornello doloroso quello che si al­za dal mondo degli artigiani. Sono una peculiarità tutta italiana, l’espressione più visibile della fan­tasia e della voglia di costruire che costituisce il Dna di questo nostro tartassato Paese. Persone che cre­dono in se stesse, nelle proprie ca­pacità, nella possibilità di produr­re beni e lavoro. Che non temono la precarietà, anzi la sfidano, per­ché non hanno come ultima aspi­razione una vita da statale. Questo patrimonio di passio­ne, creatività e coraggio oggi è il più sfiancato dalla crisi. Ieri la Confartigianato di Treviso assie­me a Veneto Garanzie ha presen­tato un’indagine (curata da Tolo­meo studi e ricerche) tra 800 pic­cole imprese della Marca. Che gli artigiani – da Treviso a Mestre - si siano dovuti trasformare in stati­stici, la dice lunga sul bisogno che hanno di comunicare la loro real­tà misconosciuta, messa in om­b­ra dai grandi numeri e da altre as­sociazioni di categoria che con il peso del fatturato schiacciano le realtà più vitali della nostra econo­mia. Vent’anni fa, simbolo del mira­colo Nordest, la provincia di Trevi­so rappresentava da sola un sesto del saldo attivo italiano con l’este­ro. Un rigoglio di fabbriche, capan­noni, volontà di crescita, di riscat­to, di cambiamento. Oggi, invece, che cosa dice questa ricerca? Il 47 per cento delle imprese nella se­conda metà del 2011 ha ridotto il fatturato, che per il 39 per cento è rimasto invariato: dunque cresce solo un’azienda su 10. Le imprese artigiane se la passano peggio del­le non artigiane, soprattutto quel­le dell’edilizia (costruzioni e le­gno- arredo). Settore da cui pro­vengono entrambi gli operai di­sp­erati che negli ultimi giorni si so­no dati fuoco a Bologna e Verona. Il giro d’affari cola a picco an­che perché peggiorano i rapporti con le banche. Un artigiano su due soffre per la mancanza di cre­dito, e anche in questo caso sono più colpite le imprese edili dove la percentuale di chi annaspa sale al 62. Si allungano anche i tempi di pagamento: il 74 per cento delle imprese (tre su quattro) lamenta pesanti ritardi, che nel 46 per cen­to dei casi superano i 3 mesi. Qui c’entra poco la pubblica ammini­­strazione, che pure ha tempi di pa­gamento insostenibili. Gli artigia­ni lavoran­o poco per il settore pub­blico ma moltissimo come fornito­ri di clienti privati o di altre impre­se della propria filiera produttiva. Sono dunque altre ditte e i privati a moltiplicare la crisi dell’artigia­nato. Oltre un quarto dei piccoli imprenditori ha crediti che supe­rano metà del fatturato, una so­glia vitale. Non è il lavoro che man­ca: sono i soldi. Le piccole aziende potrebbero anche assumere di più, ma si arrestano perché non sanno quando arriverà il denaro. Così, basta un episodio imprevi­sto ( come un calo di vendite o il pa­gamento della liquidazione a un dipendente che va in pensione) perché un artigiano finisca sul ci­glio del baratro. E le banche si rifiu­tano di concedere fidi o anticipa­zioni sulle fatture già emesse ma non saldate, perché il pagamento potrebbe non avvenire. Mai come adesso c’è bisogno degli istituti di credito. La crescen­te lentezza degli incassi aumenta il bisogno di denaro liquido. Ma dalle banche i finanziamenti esco­no con il contagocce, e quel poco è carissimo. Secondo la Banca d’Italia i prestiti alle imprese italia­ne nel 2011 sono scesi dell’1 per cento a dicembre, dopo un calo dello 0,1 per cento a ottobre e no­vembre. Lo spread sull’Euribor a tre mesi era a 2,8 punti a dicembre (contro l’1,7 di giugno) e fa ulte­ri­ormente salire gli interessi paga­ti dalle imprese. Spiega Mario Poz­za, presidente degli artigiani della Marca: «Si ricorre all’indebita­m­ento non per potenziare gli inve­stimenti, ma per alimentare un cir­cuito vizioso, per­verso, insostenibi­le. Ci si indebita per pagare i vec­chi debiti e le spe­se correnti: stipen­di, fornitori, mate­rie prime». Ma con i bilanci, i debiti e i posti di lavoro, affonda an­che un bene forse più prezioso. La fi­ducia. La ragione­vole speranza che il mercato rispon­da positivamente. Un imprenditore rassegnato è una contraddizione in termini. Ma è que­sta l’immagine che restituiscono i grafici di Confarti­gianato Treviso. Un clima di scon­forto, avvelenato dalla sfiducia, in cui si mescolano il cattivo andamen­to della propria azienda, la crisi finanziaria globa­le, i timori sull’euro-zona,le maz­zate delle manovre economiche. Due aziende intervistate su tre so­stengono che la situazione è peg­giorata e una su due è convinta che non migliorerà a breve. Gli artigiani però non demordo­no. Pozza è convinto: «Si può, anzi si deve intervenire per sostenere le imprese in difficoltà». Le ricette sono aiuti alla crescita, sensibiliz­zazione delle banche, una legge in tempi rapidi sui termini di paga­mento in attuazione delle diretti­ve comunitarie, accordi di filiera che contengano impegni comuni sui pagamenti. «Senza serenità un imprenditore non può lavora­re – dice Pozza - ne va di mezzo il lavoro nostro e dei nostri dipen­denti e una grossa fetta del benes­sere italiano». Stefano Filippi