Ugo Magri, La Stampa 30/3/2012, 30 marzo 2012
Prima vittima dello spread all’insù è la riscossa dei partiti. Sembrano già col fiatone. O quantomeno, da domani dovranno fare i conti con uno scenario internazionale di nuovo tetro
Prima vittima dello spread all’insù è la riscossa dei partiti. Sembrano già col fiatone. O quantomeno, da domani dovranno fare i conti con uno scenario internazionale di nuovo tetro. Per qualche giorno, complici le esternazioni di Monti dall’Estremo Oriente, era sembrato che contro i «tecnici» fosse in atto una rivolta. E che i segretari della maggioranza, in particolare Bersani, volessero rivendicare la dignità del loro ruolo. Ancora ieri il segretario Pd reclamava misure efficaci di lotta alla recessione, sollecitando il governo (e il ministro Passera in modo speciale) a battere un colpo. Ma pure nel Pdl parecchie voci si erano levate, non certo a sostegno del Professore, anzi di sdegno per quel suo modo sgradevole di mettere in piazza la crisi dei partiti, uomo ingrato visto che nessun governo può prescindere dal Parlamento... Ora però il mostro si è risvegliato: lo spread, di cui si era persa la memoria, schizza a quota 340. E crolla la Borsa, in previsione del peggio. Per cui la politica torna a tremare. L’orologio della crisi ci riporta indietro di settimane, all’emergenza greca e a quando Monti nel Palazzo ancora veniva considerato il salvatore della Patria. Riecco gli appelli a superare le «incomprensioni» tra politici e tecnici, termine sfoderato dal presidente del Senato Schifani. Enrico Letta, dal Pd, li declassa al rango di «equivoci» sebbene moltissimo si fosse imbufalito il suo Segretario dopo lo strappo del Professore sull’articolo 18. E Casini, il quale dei «pontieri» è per definizione il leader, enuncia una verità inconfutabile: «Si era sparsa irresponsabilmente l’idea che il peggio fosse passato. Errore gravissimo...». Ci risiamo con la fibrillazione dei mercati. Che attaccano la Spagna con conseguenze politiche pure da noi. Ragiona ad alta voce Casini: «Di sicuro, non possiamo ballare per i prossimi due mesi sull’articolo 18. Bisogna chiudere in fretta la riforma del lavoro, altrimenti la speculazione ci divora vivi». Volendo, l’accordo si farebbe in quattro e quattr’otto. Chi descrive un Pd intrattabile, al guinzaglio di Cgil, a sua volta ricattata da Fiom, non rende omaggio alla verità. Parlando con i personaggi che contano, si scopre l’esatto contrario, un Pd assai ragionevole e pronto a trovare soluzioni pragmatiche, concrete, sulla scia della soluzione che Monti stesso aveva proposto: sì ai licenziamenti per motivi economici ma «senza abusi». In che cosa consistano questi abusi, dev’essere ancora chiarito, un testo di riforma al momento non c’è. Fonti di governo sostengono che sarà pronto lunedì, in coincidenza con il ritorno di Monti dalla tournée asiatica. Basterebbe dunque ragionare sul testo, insistono dalle parti di Bersani, e magari stringere qualche vite, per trovare una soluzione unitaria gradita a Napolitano (ancora ieri l’ha ribadito). Né sarebbe il Pdl a opporsi: nell’ultimo vertice di maggioranza Alfano ha rassicurato tutti, «un accordo comprensivo dei sindacati a noi sta bene, non fatevi fuorviare dai fuochi d’artificio...». Il vero interrogativo riguarda Monti. Le sue intenzioni. Lo stato d’animo. Tra i segretari della maggioranza c’è chi parla di un presidente del Consiglio «provato, sono mesi che tira la carretta, forse poteva essere più cauto nel giudizio sui partiti ma guai a farne un dramma». Altri, viceversa, temono che non di sbalzo umorale si tratti, bensì di strategia precisa per mostrare al mondo che lui fa sul serio. Maggiori saranno le proteste del sindacato, più si dimostrerà che non è una finta. Nel qual caso, il Professore metterà la fiducia sull’articolo 18, e chi ci sta ci sta. Con lo spread che sale, il pallino torna nelle sue mani. "Da Schifani a Enrico Letta, si cerca di ricucire lo strappo: si è trattato solo di equivoci Lunedì dovrebbe essere pronto il testo del disegno di legge sulla riforma del lavoro"