Sabina Rodi, Italiaoggi 31/3/2012, 31 marzo 2012
FEDE - Sull’intera vicenda di Emilio Fede alla direzione del Tgquattro (e non solo sulle vicende finali del tormentato rapporto con il suo editore), ItaliaOggi, ne ha parlato molto estesamente
FEDE - Sull’intera vicenda di Emilio Fede alla direzione del Tgquattro (e non solo sulle vicende finali del tormentato rapporto con il suo editore), ItaliaOggi, ne ha parlato molto estesamente. Ma in questo mio pezzo vorrei interessarmi all’aspetto umano dell’epilogo di una vicenda editoriale, giocata troppo a lungo da Emilio Fede come se fosse una lunga partita di pocker, fino a rompere l’elastico che, con sua sorpresa, gli è finito in faccia. Fede sapeva di non essere amato dalla giovane generazione che ha preso in mano Mediaset e che, in media, ha metà della sua età e quindi, ha, inevitabilmente, anche idee molto diverse dalle sue sul modo di fare la tv nel terzo Millennio. La generazione che oggi ha in mano Mediaset gli ha recapitato al lettera di licenziamento, subito dopo la fine del Tgquattro di mercoledì 28 quando, guarda caso, colui che Fede riteneva fosse il suo protettore di ultima istanza, Silvio Berlusconi, era irraggiungibile perche stava assistendo alla partita del Milano contro il Barcellona a San Siro. Anche tutti i dirigenti Mediaset che lavorano a Milano 2 e che, a quell’ora, sono sempre febbrilmente ancora al lavoro, erano scomparsi improvvisamente, quella sera, con mille scuse. Fede si è così trovato solo, isolato, nella sua stanzetta con vista sul lago artificiale di Milano 2, immerso nel buio, con la lettera in mano che non avrebbe mai voluto ricevere, mentre le agenzie facevano uscire la notizia del suo licenziamento. Fuori dell’ufficio, in una notte tiepidamente primaverile, con, nel cielo, una luna da cartolina, a mezza falce, limpida e serena, c’era, appostata, in un cono d’ombra creato dai palazzi, la macchina di servizio di Emilio Fede, una lussuosa Audi A8, potente ma anche, a quel punto, rassegnata. Con, sul tettuccio, il lampeggiatore (a che titolo lo aveva, Fede?; ma lasciamo perdere, sono cose del passato). Un lampeggiatore però sghembo, quasi afflosciato, che sembrava chiedere scusa, come se, anche lui, avesse ricevuto, poco prima, la lettera di fine servizio. Ma la vicenda, dal punto di vista umano, ha il suo clou, il giorno dopo, quando Fede tenta di condurre, ancora per un giorno, il suo Tg, o, almeno, quello che ha inventato lui. Gli viene invece concesso solo di dare un saluto ai suoi telespettatori. Ma l’azienda non si fida di lui che potrebbe sempre fare il misirizzi, tirando fuori dal cilindro, qualche sua altra trovata. Gli viene quindi concesso solo un saluto registrato, piazzato, per di più, alla fine del Tg4. Compare così in video un Fede irriconoscibile. Privo dell’assoluto aplomb dei giorni (e degli anni) precedenti. Non avendo usato il cerone in dosi industriali, da nordafricano come appariva da sempre, Fede sembrava essere ritornato europeo. Le occhiaie, non protette dal trucco (non glielo hanno più concesso; o non lo ha voluto Fede?) erano nere. Il naso sembrava rammollito, sguarnito, incerto. Lo sguardo era afflosciato. Vestiva un maglioncino che pareva chiedere scusa. Aveva la camicia sbottonata sul collo flaccido. I capelli erano in libera uscita. Fede, nel suo saluto in video, sembrava più un prigioniero durante in processo del popolo in una stanza di un immobile di periferia che non un direttore licenziato. Cosa, questa, che può essere dolorosa ma che non è poi la fine del mondo. Ma, per Fede, era la fine del mondo. E’ come se sotto i suoi piedi si fosse improvvisamente aperta, con fragore, una botola. L’evento (da tutti preventivato) era, per lui, impossibile. Anche in questo commiato, nonostante tutto, Emilio Fede è rimasto se stesso. Sconfitto ma non domo. Il suo viso, certo, alla fine, lasciava capire che anche lui aveva capito che non c’era più niente da fare. Ma le sue parole, dicevano altro: “Questo non è un addio ma un arrivederci”. Nel dire questa frase, Fede cercava di accompagnarla con il suo solito sorriso sornione. Ma, questa volta, non gli è riuscito. Il sorriso è risultato una smorfia. E lo sguardo non era quello strafottente dei giovani biricchini del paese dove è nato, Barcellona di Gozzo, in provincia di Messina, ma quello spento di un sconfitto per sempre. A 81 anni. Senza il conforto di “un programma di prima o seconda serata, l’auto di servizio, la segretaria, il posto in parlamento, la direzione, sia pure platonica, dei servizi di informazione e un contratto di consulenza di tre anni più due” come Fede aveva snocciolato al Corriere della sera, il giorno prima di esse licenziato. Incarichi, benefici e pennacchi pronti, cash. Oh, yes. O no?