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 2012  marzo 29 Giovedì calendario

«Arbitro, cacci mio padre» Se i figli non ne possono più - «Scusi, arbitro: quel signo­re mi infastidisce

«Arbitro, cacci mio padre» Se i figli non ne possono più - «Scusi, arbitro: quel signo­re mi infastidisce. So che è mio padre ma con­tinua a disturbare. Voglio che ab­bandoni lo stadio ma so che que­sto non avverrà ».Infatti:è impossi­bile sfuggire a un padre, soprattut­to se fai il tennista. E Bernard To­mic, australiano di belle speran­ze, ne ha pure pagato le spese: im­pegnato a Miami in uno dei tornei più importanti della stagione, ha subìto una penalità durante il suo match per i continui suggerimenti non richiesti ricevuti dalle tribu­ne. Perché il padre naturalmente non se n’è voluto andare e conti­nuava a dare ordini. Insomma lo sport è il vertice di un problema vecchio come il mon­do. In particolare il tennis, dove di padri padroni ­soprattutto in cam­po femminile - è pieno il circuito. Ma in fondo poi basta andare in qualsiasi campet­to di periferia per vedere genitori ululanti, soprattutto di sesso maschile, ag­grappati alle reti intorno ai campi dove i propri figli rincorro­no palloni e le speranze di chi li ha messi al mondo. Lo ha spiegato Andrè Agassi, altra tennis star, nel suo bellissimo libro Open : «Mio padre sognava di essere un cam­pione e ha costretto me ad esserlo. Così al­la fine io non posso fare a meno del tennis, anche se in realtà lo odio. Odio il tennis e mio padre». Sogni, speranze, proiezioni del proprio io, riscatto dei propri falli­menti: il rapporto padre-figlio non è sempre facile, soprattutto quando il figlio non può ancora ca­pire e il padre non ha ancora rag­giunto una vera maturità. È lo scontro tra due calamite della stes­sa polarità e i casi più eclatanti av­vengono di solito sotto i riflettori: il cinema è un altro esempio in cui i figli d’arte spesso sono il risultato di rapporti difficili e dove la fuga da responsabilità troppo grandi fi­nisce per disgregare famiglie. Mi­chael Douglas per anni ha detesta­to suo padre Kirk, Kiefer Suther­land­il protagonista del serial cul­to 24 e, oggi, del bellissimo Touch (la serie thriller basata proprio sul rapporto difficile tra un padre ve­dovo e il figlio autistico) - a lungo non ha rivolto parola a papà Do­nald. Storie spesso condite da al­col, droga e rancori. Claudio Risè, nel suo libro Il me­stiere di padre , scrive che«l’amore nel rapporto padre-figlio si colora così, fatalmente, di aggressività e di ribellione al padre. È molto du­ro per entrambi, ma è necessario che accada». Diverso invece è il rapporto tra padri e figlie, dove una latente sensazione di posses­so può trasformare l’amore in do­minio. Richard Williams che tele­comanda l’esistenza delle figlie, Damir Dokic che distrugge il talen­t­o di Jelena a colpi di abusi e violen­ze... Sono casi limite, ovviamente, di padri-padroni ne è pieno il mon­do ma di padri amorevoli ce n’è un universo, padri che si commuovo­no vedendo i figli che crescono e che capiscono che non si può ap­parecchiare la vita di un’altra per­sona. Si può solo stare a fianco, gui­dando e correggendo, né un passo avanti, né un passo indietro. Poi c’è il tennis, e lì forse è davvero un’altra storia: Bernard Tomic ad esempio alla fine ha perso la parti­ta e chissà come è finita con papà negli spogliatoi. Anche se poi, in re­altà, il tempo cambia molte cose e spesso aggiusta i cocci. Tanto che lo stesso Kiefer Sutherland - che oggi ha un figlio biologico, due fi­gliastri e due figliastre - lo ha capi­to: «Non ho avuto un rapporto con mio padre fino a 17, 18 anni: lavo­rava tanto, non c’era mai, è stato più difficile. Ora che faccio lo stes­so lavoro lo capisco meglio, ma so­prattutto lo capisco meglio da quando sono padre».Mentre Ales­sandro Gassman racconta che «tra i 15 e i 18 anni i ragazzi sono bombe ormonali, confusi, ribelli per principio. Ho attraversato un periodo difficile, doloroso e oggi, a posteriori, devo riconoscere che mi ha salvato la severità di mio pa­dre Vittorio ». Al quale ha dedicato il suo primo film da regista Roman e il suo cucciolo , incentrato pro­prio sul rapporto padre-figlio. E grazie al quale «sono diventato un padre rompiscatole: voglio che mio figlio paghi le tasse e sia re­sponsabile ». Chissà che litigate.