Paolo Bracalini, il Giornale 28/3/2012, 28 marzo 2012
Rai, tutta la verità sui compensi milionari di Santoro - Una serie tv dal titolo «il signor M », uno sceneggiato storicogiudiziario sull’Olocausto, una miniserie in giallo da girare a Pantelleria
Rai, tutta la verità sui compensi milionari di Santoro - Una serie tv dal titolo «il signor M », uno sceneggiato storicogiudiziario sull’Olocausto, una miniserie in giallo da girare a Pantelleria... Ecco i format che Michele Santoro ha proposto alla Rai, nella primavera 2010, per «transare » la sua uscita dalla tv pubblica. I documenti originali escono per la prima volta, insieme al dettaglio della cifra monstre chiesta da Santoro (e approvata dal Cda Rai) per la rinuncia a tutti i suoi ricorsi contro l’azienda, oltre alla vendita, da produttore esterno, dei suddetti format della sua Zerostudio’s: 17 milioni di euro. Pari a tre annualità di stipendio (2.799.000 euro), 69.600 euro di ferie non godute, il Tfr, e 14 milioni più Iva per le sue miniserie. Tutto è raccontato direttamente dal protagonista di quella vicenda, l’ex direttore generale di Viale Mazzini, Mauro Masi, in un librointervista che ha generato un’enorme attesa (specie in Rai, visti i contenuti esplosivi...) e che esce a giorni, il 4 aprile. Eccolo qui, Un nemico alla Rai - 800 giorni «contro» nella tv pubblica (ed. Marsilio, pagg. 240), dove l’ex dg, intervistato da Carlo Vulpio, racconta la sua versione della (controversa) stagione Masi alla Rai, togliendosi molti sassolini e facendo nomi e cognomi, accompagnati da giudizi a dir poco schietti ( Masi pratica la boxe, da giovane ha fatto il parà, insomma le scazzottate sembra lo attirino). Primo nome, quello di Santoro, con cui Masi chiuse un accordo nel maggio 2010, nato dalla volontà del giornalista. All’inizio, racconta Masi, «Santoro si comporta da trattativista scafato e manda da me, a negoziare la sua uscita plurimiliardaria dalla Rai, Lucio Presta », cioè il manager di Antonella Clerici, Benigni e altri divi tv. Si discute e si arriva a quell’accordo, che il 18 maggio il Cda (presidente Garimberti incluso) approva. Poi, dopo pochi giorni, Santoro cambia idea: non vuole più lasciare la Rai (dopo aver espresso «soddisfazione » per l’accordo raggiunto), e riveste i panni della vittima della censura. Ma perché? «Garimberti aveva fatto delle dichiarazioni un po’ a effetto e anche un po’ curiose, visto che aveva votato a favore in cda, sulla libertà di scelta di Santoro (“ È una risorsa per la Rai e deve restare”, ndr ). Santoro ne trasse pretesto per dire che se Garimberti non avesse ritrattato pubblicamente sarebbe saltato tutto, perché quelle parole - sosteneva Santoro - lo spiazzavano nei confronti del “suo” pubblico». Masi chiama il presidente Rai e gli fa presente i rischi di un fallimento della trattativa. Ma Garimberti non muove un dito. Scrive Masi: «Credo che abbia visto l’occasione per farmi fare flop e l’abbia colta al volo», poco dopo aver ricordato che «era poco presente in azienda, si interessava per lo più di Rai Sport e di alcune questioni internazionali». Salta tutto: «Credo che a un certo punto Santoro, prigioniero del suo personaggio, abbia pensato che quell’accordo, vantaggiosissimo per lui e utile per la Rai, non sarebbe stato capito dal “suo” pubblico». E se non ci fosse stata la clausola di esclusiva con la Rai per tre anni? chiede Vulpio. «Santoro avrebbe già bell’e chiuso l’accordo. Invece, dovendo rispettare l’esclusiva, si è ricordato del “suo” pubblico... » chiosa Masi, che in allegato pubblica tutto il carteggio con Santoro (che prima gli dà del tu, poi del lei,e poi fa scrivere dall’avvocato...). Annozero quindi torna nei palinsesti, dopo mille polemiche, inizia col vaffan...bicchiere a Masi, in diretta («un’offesa insanabile ») e prosegue con la famosa telefonata di Masi. Perché la fece? «Forse ho commesso un errore» ammette Masi. Ma serve il contesto. Siamo in pieno Ruby-gate, e in Rai girava voce che quella sera Santoro avrebbe «mostrato immagini, foto o, meglio presunte foto, in ogni caso compromettenti, che riguardavano Ruby». Quindi Masi chiama in diretta, sbagliando, ma con una convinzione: «Se quel mio intervento “sbagliato”ha evitato che Santoro tirasse al massimo la corda, allora sono quasi contento di aver commesso quell’errore ». Mai più sentito Santoro da allora, tranne due incontri casuali: «Nel negozio di Armani a Roma e al Grand Hotel delle Terme di Saturnia. Due posti, come tutti sanno, frequentati da profughi, muratori e giornalisti indignados...». Oltre alla vicenda Santoro, il libro è una miniera di aneddoti, anche spassosi, sulla galassia Rai e i suoi abitanti. I consiglieri di amministrazione e le loro richieste (quello che vuole raccomandare una ballerina zoppa...), lo sgomento dei massimi dirigenti quando Masi chiede quale gamba del capitano Achab sia quella di legno (e solo Fabrizio Del Noce azzecca la risposta: Melville non lo dice mai), «l’immediata antipatia reciproca con Paolo Ruffini» (allora direttore RaiTre, oggi La7), i poteri dell’inossidabile «partito Rai», la saga degli aspiranti famosi che telefonano (spesso direttamente al direttore generale) per farsi ospitare in qualche programma, con i chirurghi plastici tra i più molesti («dei veri rompicoglioni »), seguiti da politici (per essere infilati nel «pastone» dei tg), attori, soubrette che si autopropongono, giornalisti compresi. E del suo successore, Lorenza Lei,cosa dice Masi?L’ex dg risponde per le rime a una intervista in cui la Lei dice che quando si è insediata ha trovato i conti in rosso. «Non voglio polemizzare... Ma il bilancio previsivo per il 2011, da me presentato, prevedeva un avanzo di oltre 20 milioni di euro. Il bilancio era parte del Piano industriale 2010/2012 che ha permesso di realizzare maggiori entrate o minori spese per oltre 200 milioni. Aggiungo poi che il bilancio 2010, chiuso con 90milioni di disavanzo, era stato costruito in moda tale da far sì che il successivo potesse essere in attivo. Sono cose che la dottoressa Lei sa benissimo. Forse è stata fraintesa». Forse. «Il pareggio di bilancio per l’esercizio 2011 è in larghissima parte frutto del mio Piano industriale. In Rai lo sanno tutti, anche se non lo dicono». In un capitolo Masi spiega perché la governance Rai non può funzionare e va cambiata (il dg è ostaggio del Cda, di cui non fa parte, che a sua volta non può approvare nulla che non sia proposto dal dg...), in una direzione che è molto simile al progetto Monti-Passera. E infine sul Trani-gate e Berlusconi: «Mai, dico mai, ha esercitato pressioni nei miei confronti come direttore generale Rai». Ottocento giorni da nemico in Rai, «difficili, esaltanti, faticosi, mai banali». E qualche nemico in più dopo questo libro.