ROBERTO CONDIO, La Stampa 28/3/2012, 28 marzo 2012
Perché allenatori così giovani? - Da ieri l’Inter ha sostituito Claudio Ranieri con un allenatore di appena 36 anni, Andrea Stramaccioni, che aveva guidato soltanto squadre giovanili
Perché allenatori così giovani? - Da ieri l’Inter ha sostituito Claudio Ranieri con un allenatore di appena 36 anni, Andrea Stramaccioni, che aveva guidato soltanto squadre giovanili. Il regolamento glielo concede? Sì, con un «però». Stramaccioni, fino a domenica al comando della Primavera nerazzurra, dirigerà durante la settimana gli ex campioni d’Europa ma in partita potrà andare in panchina soltanto se affiancato da un «tutor». Perché? Le norme del settore tecnico federale parlano chiaro. Per pilotare squadre di serie A e B serve il patentino di prima categoria. Stramaccioni possiede quello di seconda, che oltre ai settori giovanili e ai dilettanti abilita ai club di Lega Pro (ex C1 e C2). Dunque, da domenica chi lo affiancherà? Beppe Baresi, 54 anni, ex difensore dell’Inter e della Nazionale, vice dei più recenti coach nerazzurri. Poi, a luglio, Stramaccioni potrà iscriversi al Master di Coverciano, indispensabile per ottenere il «visto» di prima categoria. Passare dai baby ai campionissimi in un solo balzo è un caso più unico che raro? Lo era una volta. Ora non più. Nemmeno in Italia. Nella scorsa stagione, ad esempio, a febbraio la Roma promosse a sorpresa Vincenzo Montella, ex attaccante classe 1974, che stava allenando addirittura i Giovanissimi giallorossi. Mentre prima dell’inizio di questo campionato, esonerato Pioli, il Palermo si era affidato a Devis Mangia, appena arrivato dal Varese per dirigere la Primavera. L’età media degli allenatori, quindi, si sta abbassando? Decisamente. Intanto, per un aspetto tutt’altro che trascurabile in tempi come questi: i tecnici giovani costano poco e pongono meno condizioni. Poi, perché scommettere sulle nuove generazioni è diventato trendy. Specie da quando il Barcellona ha puntato sul suo ex giocatore Pep Guardiola, che nel 2008 aveva 37 anni, e si è subito trasformato in squadra da sogno, in modello da imitare. È vero che per un ex campione è più facile diventare un grande allenatore? Non è detto. Sicuramente ha la strada agevolata, con il bagaglio di esperienze al top riempito sul campo. Ma il mondo del calcio è pieno di esempi di «mister» vincenti mai stati atleti di punta. Qualche esempio? José Mourinho, su tutti. L’allenatore più pagato del globo, il mago del «triplete» dell’Inter, dall’estate 2010 sulla panchina della corazzata Real Madrid. Lo Special One provò a fare il difensore fino ai 24 anni, senza grandi risultati, in Portogallo. Ma a 18 aveva già mosso i primi passi della sua carriera da stratega. A casa nostra com’è la divisione tra le due categorie? Netta prevalenza di ex calciatori. Allegri (Milan), Conte (Juventus), Reja (Lazio), Guidolin (Udinese) e Mazzarri (Napoli) guidano le prime cinque del campionato dopo aver giocato a lungo in A. Come gli ultimi ct dell’Italia: da Maldini a Zoff, da Trapattoni a Lippi, da Donadoni fino all’attuale Prandelli. Come Ancelotti, Mancini, Di Matteo e Zenga che lavorano all’estero. Come Capello, che da poco ha lasciato la Nazionale inglese. Le eccezioni, però, non mancano. Tipo? Arrigo Sacchi. Un dilettante da calciatore, un professionista rivoluzionario da allenatore: plasmò il Milan pigliatutto tra il 1987 e il 1991; perse ai rigori con l’Italia il Mondiale 1994. Poi, un altro romagnolo: Alberto Zaccheroni. Anch’egli scudettato col Milan, prima di riprovarci invano con Inter e Juve. Oggi guida il Giappone campione d’Asia. Verrebbe da dire: italiani, popolo di allenatori. Esagerato? Per nulla. Al 31 ottobre scorso i tecnici di prima categoria erano ben 652 e quelli di seconda 1495! Il tasso di disoccupazione della categoria sarà da record, allora. Nemmeno tanto. Perché gli allenatori hanno preceduto tutti, a proposito di flessibilità e di posto fisso non garantito. In Italia il turnover è esagerato: in serie A gli esoneri sono già 16 (record assoluto eguagliato) e 22 quelli di B (nuovo primato). Ai «licenziati», in fondo, non dispiace troppo: stipendio comunque garantito e più posti a disposizione. È una ruota che gira. Va così veloce anche nel resto d’Europa? No. Nelle altre grandi leghe i presidenti sono più cauti: 11 cambi di allenatore in Spagna, otto in Germania, cinque in Francia, quattro in Inghilterra. Dove il mitico Alex Ferguson siede sulla panchina del Manchester United addirittura dal novembre 1986. Pensate che nella nostra serie A il primato di resistenza oggi è di Mazzarri, al Napoli dal 6 ottobre 2009. Nemmeno due anni e mezzo fa.