ALBERTO MATTIOLI, La Stampa 28/3/2012, 28 marzo 2012
“Ho messo le mie mani nelle mani di Leonardo” - Mettere le mani su Leonardo, sperando che non tremino troppo
“Ho messo le mie mani nelle mani di Leonardo” - Mettere le mani su Leonardo, sperando che non tremino troppo. Per restaurare uno dei quadri più celebri della pittura occidentale: la Sant’Anna . Dopo anni di studi preparatori e polemiche preventive, il Louvre ha deciso finalmente di procedere. Il risultato è esposto nella Hall Napoléon fino al 25 giugno in una mostra sponsorizzata da Ferragamo che mette insieme, per la prima volta, tutto quel che esiste intorno al capolavoro: lettere, schizzi, copie, ventidue disegni prestati dalla Regina d’Inghilterra, le versioni d’atélier che raccontano i ripensamenti di Leonardo sul capolavoro e poi la sua influenza su quelli che verranno, da Delacroix a Degas, da Odilon Redon a Max Ernst. L’idea è quella di far entrare il visitatore nella testa di Leonardo, o almeno nella sua bottega. Alla fine, si rivede una Sant’Anna uguale e diversa. Nell’incredibile «sfumato» delle montagne dietro questa Sacra famiglia con due madri è spuntato un villaggio, il manto della Vergine è una colata di lapislazzulo e i suoi piedi sono delicatamente immersi nell’acqua. Il merito è di Cinzia Pasquali, una signora romana di nascita e francese di vita, sorridente ma, si capisce, determinata. Le mani su Leonardo le ha messe lei. Perché e come è stata scelta? «È stata fatta una gara, una procedura insolita decisa dal Louvre e dal C2rmf, il Centro di ricerca e di restauro dei musei di Francia. C’erano sette concorrenti e beh, ho vinto io. Era il luglio del 2010». Cos’ha pensato? «All’inizio, di aver capito male, perché mi avevano dato la notizia per telefono ma la lettera di conferma tardava. Poi ho realizzato, ho misurato la responsabilità e mi sono messa a studiare tutto quel che si sapeva su questo quadro. Fortunatamente nel ’94 erano stati fatti dei test in vista di un restauro che però non s’iniziò mai». Poi ha cominciato a pulire... «Usando una tecnica nuova, un gel messo a punto da Paolo Cremonesi. Non volevamo eliminare del tutto le vernici che si sono sovrapposte nei secoli e ossidate, ma assottigliarle. Un restauro dev’essere reversibile. Diciamo che questa Sant’Anna durerà per i prossimi cinquanta o settant’anni. Poi si vedrà». Il problema, naturalmente, era quanto togliere. «Ho sempre lavorato sotto il controllo di una commissione scientifica internazionale cui venivano sottoposti i vari test e che si riuniva ogni due o tre mesi. La discussione tra chi voleva un alleggerimento leggero e chi voleva una pulizia più in profondità è stata animata. Alla fine, come sempre, si è trovato un compromesso». Maleipersonalmentecosanepensa? «Io sarei andata anche più in profondità. Ma si è deciso di lasciare un bel po’ di quella che, molto impropriamente, si chiama patina del tempo». Tuttavia ci sono state polemiche. «Due membri della commissione si sono dimessi. Uno era contrario al restauro fin dall’inizio, quindi non si capisce perché avesse accettato di farne parte. Un’altra perché era affezionata alla Sant’Anna come l’aveva sempre vista». Finita la pulitura, lei ha ridipinto. «Non lo dica neanche per scherzo. Ho solo reintegrato alcune piccole lacune, per esempio alcuni buchi lasciati da insetti». Più preoccupata dal togliere o dall’aggiungere? «Certamente dal togliere. Se si leva uno strato di troppo, è perduto per sempre». Le sorprese sono state molte. Quella che l’ha commossa di più? «Trovare i segni delle mani di Leonardo, insomma le sue impronte digitali. Spandeva il colore con la punta delle dita. Del resto, lo faccio anch’io». Quanto tempo ha vissuto con Sant’Anna? «Un anno e mezzo, tutti i giorni dalle 8.30 alle 18. Questo quadro è stato un grande amore, anzi una grande ossessione. Me lo sognavo di notte». Le piacerebbe restaurare la Gioconda ? «Certo! E credo anche che avremmo delle sorprese. In mostra c’è la Gioconda del Prado, una copia che ha colori molto più vividi e luminosi. Credo che se la restaurassimo, la Gioconda vera risulterebbe molto simile alla copia». Lei ha messo le mani dove le metteva Leonardo. Che idea si è fatta di lui? «Credo che fosse un grande nevrotico. Non finiva mai nulla perché era sempre alla ricerca di qualcosa che gli sfuggiva, a caccia di un’ideale talmente elevato da risultare inafferrabile». Ultima domanda: adesso che il lavoro è finito, cosa prova? «Soprattutto, un’enorme ammirazione per Leonardo. Il genio è lui».