LUIGI GRASSIA, La Stampa 28/3/2012, 28 marzo 2012
Pronti a schiacciare Alien con l’esoscheletro addosso - La fantascienza riesce davvero ad anticipare la tecnologia? La risposta va sbriciolata in una serie di «caso-per-caso»
Pronti a schiacciare Alien con l’esoscheletro addosso - La fantascienza riesce davvero ad anticipare la tecnologia? La risposta va sbriciolata in una serie di «caso-per-caso». Ogni giorno abbiamo sotto gli occhi alcuni clamorosi fallimenti dei presunti vaticini fantascientifici. Prendiamo i computer. I romanzi di «SF» ne rigurgitano ormai da generazioni. Eppure fino a tempi recenti (cioè fino a quando è comparso Internet) sballavano la prospettiva: il computer veniva immaginato come l’anello di una catena gerarchizzata, dipendente (tipicamente) da un Grande Fratello ai vertici. La Rete libera e anarchica, senza gerarchie, non è stata anticipata dagli scrittori; eppure il bisnonno di Internet (cioè la rete dei computer del Pentagono e dei centri di ricerca militare) esisteva già nei primi Anni 60; non era ancora un network aperto, ma già avrebbe potuto mostrare che cosa sarebbe diventato, se i «fantascientifici» fossero stati davvero immaginosi. Previsione toppata dunque, al pari di quella sui telefonini. Negli Anni 50, 60, 70 e persino 80 sono stati sì prefigurati dei telefoni portatili (non era difficile, ce n’era già qualcuno sperimentale in giro), ma venivano concepiti come prodotti di nicchia, oggetti da trekking o sfizi da ricconi. È stata completamente mancata la previsione dell’impatto sociale dei cellulari, cioè la diffusione di uno o più telefonini a persona, e la pervasività multimediale (musica, foto, film eccetera) degli apparecchi portatili di ogni tipo. Provate a trovare nei film di fantascienza, se non a cose bell’e fatte e inventate, i cellulari o gli smartphone, per non parlare degli iPad (per quelli ci voleva la fantasia di un visionario come Steve Jobs). Invece in certi settori gli autori di «SF» hanno indicato alla tecnologia la strada che avrebbe dovuto seguire nei decenni successivi. Già nel 1959 il romanzo «Fanteria dello spazio» di Robert Heinlein immaginava soldati le cui prestazioni fisiche sarebbero state moltiplicate da un esoscheletro, cioè una struttura metallica dotata di sensori elettronici a sostegno della schiena, delle braccia e delle gambe. Il libro di Heinlein, pur avendo vinto i più importanti premi di fantascienza, è rimasto ai margini per l’ideologia fascistoide che lo sostiene, ma ha ispirato l’esercito americano a produrre esoscheletri che permettessero ai soldati, per esempio, di camminare con scioltezza per decine di chilometri e di portare in spalla, senza sforzo, zaini da 100 chili, su e giù per i sentieri di una montagna. Oggi strumenti del genere, se fossero già operativi, sarebbero utilissimi alle pattuglie che si muovono a piedi su terreni ostici come quelli dell’Afghanistan a caccia di talebani. Quasi ci siamo. Gli esperimenti vanno avanti dagli Anni 70. Se ci è voluto tanto tempo per sviluppare queste corazze elettroniche, è per via di due limitazioni. Numero uno, l’energia: quando le batterie si scaricano, l’esoscheletro diventa inutile. Si è dovuto attendere l’evoluzione di batterie leggere e di lunga durata. Inoltre adesso si sta provando l’applicazione dell’energia fotovoltaica per l’auto-ricarica. La seconda difficoltà tecnologica riguarda il coordinamento tra la macchina e il sistema nervoso. Un esoscheletro efficace deve essere dotato di un computer che sappia cogliere, e interpretare, tutti i movimenti delle braccia e delle gambe che l’uomo sta per compiere, cioè li deve anticipare per svolgerli poi in perfetta sincronia. Questo richiede una capacità di calcolo che nei decenni scorsi non c’era e che soltanto adesso comincia a essere disponibile in misura soddisfacente. In «Tuttoscienze» si è già scritto su problemi affini a questo, ma da altri punti di vista (il 13 ottobre 2010 sul coordinamento cervello-macchina al fine del controllo dei robot e il 14 marzo scorso sulle macchine di ausilio fisioterapico). Ma di preciso a che punto siamo? I modelli per uso militare disponibili in America sono così sofisticati da essere pronti all’impiego sul campo; per esempio l’«Hulc» della Lockheed Martin (l’assonanza con l’Incredibile Hulk dei fumetti e del cinema non sembra affatto casuale) è già stato ampiamente sperimentato dall’Us Army e dai Marines. Anzi, Andrea Nativi, direttore di «Rid» (Rivista Italiana Difesa), fa un passo in avanti e rivela (senza dettagli di tempo e di luogo) che «qualcosa con gli esoscheletri le Special Forces americane già fanno sul campo. Ufficialmente no. Ma detto ufficiosamente li sperimentano sui teatri operativi». Nativi aggiunge: «Si sperimentano sul campo anche i primi robot. Si chiamano Ssms. Io ci ho giocato. Sono inquietanti. Seguono i soldati in pattuglia. Ti camminano dietro. Ti portano la roba. Se corri, corrono anche loro. Se gli dici “vai un po’ là”, loro ci vanno e ti aspettano. Non sono telecomandati, rispondono ai comandi vocali e presto anche gestuali». Passo indietro e ritorniamo agli esoscheletri. Con questi la fantascienza ha centrato il bersaglio a ripetizione. Nel 1986 la tosta Sigourney Weaver di «Aliens-Scontro finale» indossava un «body extender» per fare operazioni di carico e scarico e alla fine del film lo usava anche per affrontare e uccidere il mostro di turno. Beh, i «body extender» per i lavori pesanti esistono già nel mondo reale e non solo in America. Al momento non è documentato un utilizzo nella campagna di sterminio degli «Aliens», ma in Italia il laboratorio Percro della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa ha realizzato un modello di «body extender» tricolore e in Giappone l’azienda Cyberdyne mette addirittura già in vendita la serie «Hal», a prezzi compresi fra 11 mila e 15 mila euro, per svolgere lavori pesanti. Sempre in Giappone la Honda e la Kawasaki hanno prodotto esoscheletri per aiutare gli anziani e i disabili a muoversi. Insomma in questo campo la fantascienza ha fatto il suo mestiere alla perfezione: ha previsto, ha ispirato la tecnologia, ha indirizzato le linee di sviluppo dell’industria e adesso si merita l’applauso. Anche se la «Fanteria dello spazio», riciclata a terra in Afghanistan o altrove, non smetterà di suscitare polemiche. Lasciamo per ultimo il caso di «Iron Man», un personaggio dei fumetti (dal 1963) che diventa supereroe non perché nato Superman, o perché morso da un ragno come Spiderman, ma semplicemente perché indossa una corazza elettronica ad alte prestazioni di sua produzione. Su «Iron Man» è stato fatto un film nel 2008 e uno nel 2010 (la terza puntata è attesa per il 2013). Campo libero ai ragazzi e alle ragazze del 2008-2013, quindi, per creare esoscheletri oggi inimmaginabili quando arriverrà il loro turno.