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 2012  marzo 28 Mercoledì calendario

La sfida delle spose dei profughi “All’altare contro i pregiudizi” - Un anno fa, per scappare dalla guerra civile libica, hanno sfidato il Mediterraneo e la sorte: quattro giorni senza cibo né acqua, stretti insieme a centinaia di altri disperati a bordo di un peschereccio; poi lo sbarco a Lampedusa e l’odissea nei centri d’accoglienza di mezza Italia

La sfida delle spose dei profughi “All’altare contro i pregiudizi” - Un anno fa, per scappare dalla guerra civile libica, hanno sfidato il Mediterraneo e la sorte: quattro giorni senza cibo né acqua, stretti insieme a centinaia di altri disperati a bordo di un peschereccio; poi lo sbarco a Lampedusa e l’odissea nei centri d’accoglienza di mezza Italia. Ora, dieci mesi dopo il loro arrivo a Santo Stefano di Cadore, Belluno, hanno sposato tre ragazze venete. Affrontando, insieme alle loro mogli, la diffidenza di una provincia che, con il 27,7% alle ultime politiche, è una delle più leghiste d’Italia. La terza vita di Jude Thaddeus Ejims, 32 anni, meccanico e piastrellista nigeriano, Sainey Badie, 31, insegnante d’inglese del Gambia, Ousmane Aboubacar Malam Sidi, 33, operaio del Niger, tutti e tre emigrati dall’Africa sub-sahariana per trovare lavoro nella Libia del colonnello Gheddafi e tutti e tre finiti in Italia perché «non c’era nessun altro posto in cui fuggire», inizia il 13 maggio scorso. Da settimane i barconi fanno la spola fra le coste nordafricane e Lampedusa. I centri d’accoglienza sono allo stremo, prefetture e Protezione civile sono mobilitate per distribuire migliaia di profughi in tutta la Penisola. Alle 16,30 il sindaco di Santo Stefano di Cadore Alessandra Buzzo, riceve una chiamata dai responsabili della Protezione civile veneta: non riescono a trovare un Comune disposto ad ospitare per qualche giorno due pullman provenienti da Verona con a bordo 90 ragazzi africani. Il paese si divide: la maggioranza non ne vuole sapere. Su Facebook compare il gruppo «No profughi in Comelico». Il sindaco, nonostante la contrarietà di molti assessori della sua stessa giunta - «io sono di sinistra ma la nostra è una lista civica» decide di andare avanti per la sua strada. Quattro ore dopo l’appello della Protezione civile, mentre un gruppo di cittadini piantona il palazzetto dello sport per non far entrare gli immigrati, un gruppo di volontari è pronto ad accoglierli con le brande per dormire e un pasto caldi. Le storie d’amore fra Jude e Chiara De Monte (28 anni, figlia del sindaco), Sainey e Veronica Buzzo (36), Ousmane e Marika Buzzo (34), nascono in quelle prime ore di emergenza. E si rafforzano nei mesi seguenti fra trasferimenti in altre città del Nord-Est e ricorsi contro il rifiuto di concedere ai tre ragazzi lo status di rifugiati. Chi pensa a matrimoni combinati per concedere la cittadinanza italiana ai tre immigrati, però, è fuori strada. Chi conosce le tre ragazze giura che i bouquet, così come le lacrime dei parenti, erano veri. «Ho notato Jude fin dalla prima sera perché era uno dei più espansivi e simpatici. Abbiamo subito fatto amicizia - racconta Chiara, che lavora come assistente sociale -. Dopo qualche settimana lui si è dichiarato con una lettera. Io all’inizio ero scettica, un po’ perché non era proprio la circostanza migliore per iniziare una relazione, un po’ perché temevo l’opinione dei miei concittadini. Alla fine, però, ho capito che il nostro legame era più forte dei dubbi». Anche Marika Buzzo, intervistata dopo la cerimonia dalla cronista del «Gazzettino» Yvonne Toscani, difende con convinzione la sua scelta: «Sono serena, perché ho conosciuto in Ousmane una persona molto dolce; ora il nostro obiettivo è andare a trovare la sua famiglia, i suoi tanti fratelli, che non vede da anni, in Niger. Io sono cattolica, lui musulmano, ma non è un problema: fra noi c’è tanto rispetto». La preoccupazione principale delle sposine, adesso, è trovare un lavoro ai mariti. Nessuno dei tre ha la patente, hanno ancora qualche difficoltà con l’italiano e anche il distretto degli occhiali, storica spina dorsale dell’economia bellunese, è alle prese con la crisi. «Per il momento io e Jude viviamo in un appartamento qui a Santo Stefano. Però non abbiamo ancora deciso se rimanere qui o se trasferirci - spiega Chiara -. Ci sono troppi pregiudizi e pensare al futuro non è facile. Siamo felici ma certo, il fatto che alla cerimonia di sabato in municipio, ci fossero molti più africani che veneti non è un segnale incoraggiante».