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 2012  marzo 28 Mercoledì calendario

Con la citazione di Andreotti nasce il “premier tattico” - In principio fu il niente: «Avete visto che bella giornata?»

Con la citazione di Andreotti nasce il “premier tattico” - In principio fu il niente: «Avete visto che bella giornata?». Era domenica 13 novembre. Mario Monti lasciava l’albergo sui Fori Imperiali e ai giornalisti pressanti rispose in quel modo impacciato, di chi non sa come uscire dall’angolo. Le novità producono un nervoso entusiasmo, e nell’occasione si spacciò la goffaggine per sublime ironia; ma il professor Arnaldo Forlani, titolare di cattedra in Scienze della Fumisteria, avrebbe avuto da ridire. Quattro mesi e mezzo più tardi, l’alunno Monti dimostra di aver compulsato i testi dell’arte politica e lunedì è arrivato a citare il Sommo, Giulio Andreotti, anche se per ribaltarne la celebre massima filosofica: «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Monti non si è trasformato in un doroteo del nuovo millennio, piuttosto è un po’ meno premier tecnico e un po’ più premier tattico. «Se attraverso le sue forze sociali e politiche il Paese non è pronto» per le riforme, «non chiederemmo di continuare», ha detto. Vedremo se sarà abile mossa. Ma che differenza con le rudezze bavaresi degli esordi parlamentari. Il 17 novembre, in risposta alle spiritosaggini del senatore leghista Roberto Castelli («che mortorio, applaudite o no?»), Monti offrì una paralizzante prova di paternalismo democratico: «Non applauditemi, ascoltatemi». L’indomani alla Camera fu anche peggio: «I presidenti passano, i professori restano», disse citando una delle facezie meno azzeccate di Giovanni Spadolini. Fu però in chiusura che conquistò le raggelanti vette dell’umorismo specialistico: «Non usate l’espressione “staccare la spina”... Non saprei se dovremmo essere un rasoio o un polmone artificiale». I primi vertici internazionali furono spiegati con metafore temerarie: «L’Italia ha fatto i compiti a casa!». I rapporti con i partiti erano qualificati come «ossequio al primato della politica», da citazione del bigino della democrazia rappresentativa. Anche perché tutto questo ossequio franava sotto le reazioni stizzite del premier alle geremiadi parlamentari: «Eravate paralizzati: sennò non ci avreste chiamati». E leggete qui -16 dicembre - che trattenuta idrofobia per un’intervista a Silvio Berlusconi (pur sempre l’azionista di maggioranza del governo): «Vorrei concludere con una nota di responsabile serenità. Ho letto stamattina “Monti è disperato”. Ho fatto un rapido esame di coscienza dopo aver letto quel titolo e per un attimo mi sono sentito colpevole perché non mi sento affatto disperato». Per non dire del comunicato ufficiale, sprezzante ma almeno mordace, per rispondere ai leghisti sul suo cenone di Capodanno: «Gli acquisti sono stati effettuati dalla signora Monti a proprie spese presso alcuni negozi siti in piazza Santa Emerenziana (tortellini e dolce) e in via Cola di Rienzo (cotechino e lenticchie)...». Non c’era giorno in cui il premier non si industriasse per tirar fuori un po’ della sua indole. La politica? «Mia madre mi diceva di starne alla larga». Il lavoro fisso? «Monotono». A chi gli chiedeva il permesso di fargli una domanda? «Certo che può, ma io non rispondo». Si notavano i disperati tentativi di rendere un po’ meno respingente il messaggio («crolliamo come la Grecia!»), per esempio chiamando un po’ berlusconianamente i decreti salva-Italia e cresci-Italia, o magari definendo «pane avvelenato» quello che gli evasori fiscali porgono ai figli. Un po’ più colloquiale. Anche un po’ più allineato - e tattico, appunto - con le «intese ad ampio raggio», finalmente capace di esprimere morbidamente un concetto duro («i politici, i migliori che l’Italia abbia avuto, stanno dicendo che in passato la politica ha ascoltato troppo le categorie»), persino visionario ed esorbitante, così poco tecnico o così profondamente italiano, quando dice agli inglesi che il suo sogno è «realizzare in Italia un vero proprio cambiamento culturale». Intanto è a buon punto il suo.