Cesare Maffi, ItaliaOggi 29/3/2012, 29 marzo 2012
Una riforma elettorale busillis – Per capire bene la riforma elettorale, come sarebbe stata partorita dall’incontro ABC, Alfano-Bersani-Casini, bisogna rifarsi al vertice precedente, quando c’era pure Mario Monti
Una riforma elettorale busillis – Per capire bene la riforma elettorale, come sarebbe stata partorita dall’incontro ABC, Alfano-Bersani-Casini, bisogna rifarsi al vertice precedente, quando c’era pure Mario Monti. Ci fu un’intesa di massima sulla riforma lavoristica. Ebbene, fu così “di massima” che i democratici scatenarono poi, quasi la crisi di governo. Alla faccia dell’accordo raggiunto, del via libera, del benestare. Se, infatti, vi sono temi sui quali può essere sufficiente l’accordo riguardante i princìpi, mentre la concreta elaborazione tecnica non desta eccessive preoccupazioni, in materie complesse e delicate come appunto la legislazione sul lavoro o la riforma elettorale bisogna andare molto a fondo. A tutt’oggi, come confermato dal ministro Piero Giarda, ancora non c’è un testo per la riforma del lavoro che potremmo chiamare Fornero-Monti. Quando si leggeranno gli articoli concordati fra i ministri competenti e depositati infine in parlamento, solo allora si capirà davvero la rivoluzione vera o presunta, il Pd potrà sfogare le proprie velleità di modifica e gli altri potranno opporsi. Per quanto riguarda la legge elettorale, bisogna aspettare il testo con gli articoli. Segnaliamo, intanto, alcune questioni essenziali, che nessuno ha compreso come vengano risolte. Quanti saranno deputati e senatori? 500 e 250, si è detto. Bene: compresi o no gli eletti all’estero? Questi ultimi, poi, immutati di numero o ridotti che siano, saranno ancora eletti come nelle due infelici esperienze precedenti? Il sistema sarà proporzionale. Dizione molto generica. Dovrebbe esserci una soglia di sbarramento: nazionale o territorialmente circoscritta? Con eccezioni per le liste delle minoranze linguistiche? A quale livello? Si è scritto 4%, si è detto 5%, si è rinviata la decisione alle Camere. Nessun cenno, invece, al finanziamento pubblico, oggi garantito a chi ottenga l’1%. Pare che metà degli eletti venga scelta in collegi uninominali, l’altra metà in circoscrizio-ni. Con una sola scheda? Quali saranno le dimensioni dei collegi e delle circoscrizioni? Essenziale sarebbe poi capire le diversità fra Camera e Senato, esistendo per questo secondo ramo del parlamento una limitazione costituzionale alla “base regionale”. Nessuno ha capito che cosa sia del premio di maggioranza. C’è o non c’è? Se sì, di quanti seggi? Questi seggi vanno solo al primo partito (sembra assodato che le coalizioni vengano mandate a casa) o, in parte (quanto?) pure al secondo arrivato? All’opposto, dovrebbe essere garantito quello che si definisce “diritto di tribuna”, ossia la rappresentanza parlamentare, contraddittoria rispetto al restante impianto della legge, per chi non ottenga abbastanza voti da conquistare seggi. Chi sfrutterebbe questa pos-sibilità? Quanti seggi sarebbero riservati? Al Pdl sarebbe stata garantita la presenza, sulla scheda, del nome del candidato a pa-lazzo Chigi. Un’offa senza valore. Attualmente non si tratta, formalmente, del nome del designando alla presidenza del Consiglio, ma soltanto del capo della coalizione (o del partito, se si presenta singolarmente). Rimarrà così? Ecco. Questi sono alcuni interrogativi che desta il supposto accordo sulla legge elettorale. Non si dice che un’intesa non sarà, alla fine, raggiunta nei particolari. Per ora, tuttavia, i particolari, che tali in larga misura non sono, paiono ancora tutti da decidere. La riforma, insomma, è come quella del lavoro: non c’è. Cesare Maffi