Maurizio Stefanini, Libero 29/3/2012, 29 marzo 2012
CRISTINA HA TRUCCATO I CONTI: L’ARGENTINA SCRICCHIOLA ANCORA
Nel 2011 l’economia argentina è cresciuta dell’8,9%, per il 2012 è previsto un ulteriore 5,5-6%, e i salari reali sono cresciuti del 32%. È un’economia argentina un po’ diversa rispetto a quella della tradizione: la soia è ormai più importante dei cereali, il pesce più della carne, i nuovi stabilimenti di laptop e cellulari promossi dal governo in Terra del Fuoco a colpi di sgravi fiscali più della Fiat di Cordoba, e come turismo è ormai la prima destinazione del Sudamerica davanti al Brasile. «Siamo la terza economia del mondo come ritmo di crescita dopo Cina e India», ha detto la presidentessa Cristina Fernandez de Kirchner nell’inaugurare il Congresso, dopo essere stata plebiscitata alle ultime elezioni proprio grazie a questo boom. Se si pensa a come era ridotto il Paese dopo il botto di 10 anni fa, e ai raffronti che sono stati fatti rispetto al disastro greco, l’impressione è fortissima.
DILMA È GELOSA
Eppure, in questo momento il tono generale attorno all’economia argentina è di allarme. Un paradossale allarme malgrado l’assenza di cifre negative, e anzi proprio per questo. Ufficialmente, infatti, l’inflazione è al 10%: non poco, ma accettabile per un Paese dalla crescita tanto alta. Ma il fatto è che tutti gli economisti indipendenti parlano di almeno un 23%, Goldman Sachs addirittura del 24%, l’Economist ha accusato la Kirchner di aver riempito l’istituto statistico nazionale Indec di militanti del suo partito apposta per truccare le cifre, e la stessa presidentessa brasiliana Dilma Rousseff la pensa allo stesso modo, malgrado in teoria alleata ideologica e un’amica personale di Cristina.
«Ma non lo sapete che in Argentina l’inflazione è al 20%», ha risposto ai sindacati che gli chiedevano appunto aumenti salariali come quelli appena concessi da Cristina. Adesso l’allarme sta rimbalzando in Italia e nel mondo. Proprio grazie al Sud America Telecom Italia, che possiede il 100% di Telecom Argentina, ha potuto negli ultimi tempi vantare conti positivi. Ma adesso potrebbe trovarsi impedita a pagare dividendi, in base a un’offensiva del governo per costringere le multinazionali presenti nel Paese a non esportare gli utili, ma a reinvestirli nel Paese. Problemi analoghi li avrebbe la Enel con la controllata Endesa, e anche la petrolifera spagnola Repsol con la Ypf. E vari osservatori interpretano poi la riforma della Banca centrale come indice di una crescente mancanza di liquidità. Insomma, l’immagine che emerge da alcune analisi è quella di un governo che per vincere le elezioni ha drogato l’economia allo stesso modo in cui si droga un cavallo per vincere una corsa, ma che ora si trova alle prese con la crisi da overdose e sta cercando di curarla con misure ultraprotezionistiche.
IL CASO FALKLAND
In questa chiave, anche l’escalation diplomatica sulle Falkland acquista un tono inquietante: in modo diverso, ma come trent’anni fa i generali anche Cristina Kirchner starebbe usando le isole contese per distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dalle difficoltà interne.
A ciò si può controbattere un’altra visione: quella di un Paese che dopo essere stato quasi ammazzato dalla finanza internazionale è riuscito a risollevarsi proprio affrancandosene, e proprio per l’esempio che sta dando viene punito. Una punizione non solo con la diffusione di informazioni allarmiste, ma anche con la recente sanzione degli Stati Uniti: che hanno imposto nuove tariffe alle importazioni, escludendo l’Argentina dal Sistema generalizzato di preferenza, per i 300 milioni di dollari che Buenos Aires rifiuta di pagare ai gruppi Azurix y Blue Ridge, rifiutando un arbitrato internazionale e chiedendo invece un giudizio nei tribunali argentini. Il fatto però è che anche Uruguay, Paraguay e Brasile, soci del Mercosur, stanno protestando in modo sempre più forte contro il protezionismo argentino.
Maurizio Stefanini