Laura Piccinini, D di Repubblica 24/3/2012, 24 marzo 2012
Una sua cara amica entra nel negozio giorni fa e gli dice: «Sai, Roberto, sono stata al funerale di Lucio Dalla, mi sembrava il tuo funerale! Per quanta bellezza c’era intorno, un po’ come quando si viene a casa tua e ci si trova di tutto, ma c’è una tale armonia tra gente così diversa»
Una sua cara amica entra nel negozio giorni fa e gli dice: «Sai, Roberto, sono stata al funerale di Lucio Dalla, mi sembrava il tuo funerale! Per quanta bellezza c’era intorno, un po’ come quando si viene a casa tua e ci si trova di tutto, ma c’è una tale armonia tra gente così diversa». Lui lo racconta e: «Bello, no? Mi eleva». Dieci minuti dopo ripete la stessa frase ad altri e lì un De Sica giovane (il figlio di Christian, Brando), ironico: «Era un complimento?». La signora elegante accanto osserva che per lei il più bello è stato il funerale di Carlo Fruttero (il grande scrittore, la metà di Lucentini), «solo la bara semplicissima coi picchetto d’onore e tanti libri con il Pinocchio di Collodi aperto in cima». Conversazioni che si sentono da Roberto D’Antonio, che è un parrucchiere. Perché che lui tagli i capelli è la prima cosa. Ma è anche l’ultima. Quanto alla gente diversa di cui sopra, significa da Sabrina Ferilli a Rossana Rossanda, da Buy a Benigni a Fiorello a Fassino a Santoro a Sorrentino a Garrone, a Rubini, a Cerini, Lilly Gruber, Valeria Golino e Bruni-Tedeschi, Elkann, Isabella Ferrari (e Giuliano Ferrara), Laura Morante (ma Moretti no, forse è l’unico), i Ciampi, i Rodotà, Venier, Zero e Skolimoski. E altri, ma non è una storia da name-dropping. Se fanno un film lo invitano alle prime, se scrivono un libro c’è un personaggio ispirato a lui (come nell’ultimo di Margaret Mazzantini, glielo ha detto lei), se il libro lo presentano lui fa una cena dopo, i figli dei clienti crescono e fanno un film e idem. Lui negli anni, a furia di tagliargli i capelli e parlarci di tutto, ha acquisito competenze specifiche come non se ne trovano nella stessa persona, e un certo potere di sintesi: «Più conosco il cinema meno vado alle prime, perché non riesco a non essere sincero e ho paura di dover dire che non mi è piaciuto, aspettiamo che escano e si vedrà». Per la Rossanda ha un debole. «Quando mi conobbe voleva essere più frivola, io le dissi chiaro: non la cambierò mai». Da li una grande amicizia, dandosi del lei. «Mi piace perché è cosi minuta e dice cose grandi con questa tonalità moderna, e non si è arenata dietro un simbolo. Mi ripete che il mondo è cambiato e bisogna coglierlo. Poi però si guarda allo specchio e dice che ormai è vecchia, a me viene la pelle d’oca e le dico che preferirei morire io prima, e lo penso veramente. Una volta mi ha mandato un messaggio: "Le voglio bene e le sono grata di volermene"». Quanto ai capelli, «quando glieli taglio io è contenta perché non le faccio la testa rotonda come quando sta a Parigi e va a farseli fare dai francesi». A Cannes, al festival del cinema lui c’è. Ma non ama gli smoking. Per cui quest’anno si è trovato «nella stessa situazione di vent’anni fa, quando vinse La vita è bella e «Nicoletta e Roberto vollero che andassi alla cerimonia. Mi vestirono con le scarpe di Roberto che ha il 40, io il 44. Strappò dietro una delle sue camicie per farmela entrare e il farfallino lo prendemmo al cameriere del Carlton, ero come un pupazzo». Quest’hanno, con This Must Be the Piace dell’amico Paolo Sorrentino, la stessa cosa. «lo avevo il mio abito blu ma i francesi si erano incaponiti e non mi facevano entrare. La mia amica Ailyn, produttrice italoamericana, alle 7 della serata mi compra uno smoking di Dior da lOmila euro, con i commessi dietro che me lo adattavano disperatamente. Sembravo un pazzo, di nuovo, in mezzo alla passerella rossa con la busta di nylon dove avevo messo il mio vestito blu, e che la mia amica avesse pagato quella cifra mi urtava tanto i nervi. Visto il film con una gioia immensa, mi infilai in un bagno e mi rimisi il mio vestito per la festa. C’era Banderas. E Sean Penn, che nel film faceva un cinquantenne, come me. Paolo mi chiese consigli mentre ci lavorava, lo ero così carico che parlavo a tutti solo delle scene del film, anche se lo vidi in inglese coi sottotitoli in francese non parlando bene né uno né l’altro, e Paolo che rideva dicendomi "ma sai tutto!". Alle 4 me ne andai e partii il mattino dopo prestissimo. Sono di quelli che ripartono sempre prima del dovuto». Quella sera a insistere erano stati anche il regista Jerzy Skolimowski e la compagna Eva («le feci un colore pazzesco con la tinta comprata al supermercato»). A una cena per i 17 anni della coppia «dissi che avrei potuto aprire un ristorante. C’era il regista Matteo Garrone, mi rispose "Non potrai mai. non riusciresti a far pagare il conto"». Sapendo quanto siano discontinue le sorti dei lavoratori dello spettacolo e dati i tagli e la crisi, le sue cene hanno costituito una provvidenziale certezza. «Mi piace mettere insieme le persone». Ha fatto incontrare Benigni e Fiorello. Al regista Mimmo Calopresti ha trovato moglie. Poi fanno i figli e si presentano al negozio col passeggino. C’è questo spazio centrale dalla porta alla poltrona dove lui taglia che pare un corridoio dei film di Scola. Negli anni vedi passare gli stessi che cambiano, chi invecchia, si rifà o si fa mettere le mani in testa da un altro e lui, «t’ha rovinata». La sua cliente zero è stata Dalila Di Lazzaro, pieni anni 80 romani e il negozio era già lì in piazza di Pietra, ma piccolissimo. «lo più birbante lei sanissima, non si drogava, non beveva, ma aveva uomini incredibili». Sabrina Ferilli, che «se fossimo in America sarebbe come Meryl Streep. Lei è stata una delle prime a farsi fare la messinpiega ogni sera da me mentre lavorava sul set del film di Virzì Un Americano rosso. A Isabella Ferrari "sbagliai" a tagliare la frangia per Distretto di polizia, diceva la produzione». Invece fu la sua fortuna. Tornando agli inizi. Erano gli anni delle feste: dal grande dell’arte Mario Schifano (gli tagliava i capelli, non usciva mai), suo vicino di casa in via delle Mantellate. «Invitava solo donne, e me, con le televisioni accese e i video. Si cenava e poi chiedeva a tutti di disegnare, compreso me, che naturalmente rifiutavo. Mi regalò una sua opera, Donna nuda con la figa rossa, che io in uno dei miei slanci devo avere a mia volta regalato». Roberto fa diversi regali. L’unica volta che si è pentito, racconta e ci tiene, «è quando avendo come clienti donna Franca e Ciampi allora governatore della Banca d’Italia, dove lavorava mio cugino come commesso che avevano destinato a Milano, pensai di fare un bel regalo alla nipotina e chiedergli esplicitamente se poteva fare qualcosa. Mi disse: "Robertino, non lo potrò mai fare, pensa se cominciassi con te". E lì capii l’integrità, l’uomo». Quando i regali li fanno a lui, sbagliano taglia. Non ha un fisico facile. Ora. Due sabati fa Roberto è partito per un "viaggio della speranza", lo chiama lui ironico e sconfortato, presso una nota spa. Sempre meglio che fare il folle gesto di sette anni fa. Quando si fece convincere a farsi «tagliare la pancia» da un noto chirurgo sul Gianicolo «come tutti i cafoni in quel periodo». Era stato invitato in Russia per l’inaugurazione di un negozio di parrucchiere all’Intercontinental di Mosca e ci andò subito dopo l’intervento. «lo e il mio assistente Paolo accolti come Putin con Berlusconi, c’erano quattro bodyguard. E io con 60mila punti sulla pancia e fasce contenitive che mi stringevano tutto. Loro, le quattro russe che mi avevano invitato, erano bisontiche e gli piacevo come mi avevano conosciuto, cicciotto, motto sudato, timido. Invece ero insolitamente gasato per l’improvvisa magrezza, della cena georgiana ovviamente non toccai nulla. Mi rimandarono a casa il giorno dopo. Non gli ero piaciuto per niente». Meno male che «mi consolai andando in Toscana a Pelagio per il 20esimo di Sting e Trudie Styler, lei col vestito Versace di 20 anni prima, il terzo giorno, quello della cena in onore mio e di una certa star inglese degli addobbi, io mi ero già messo in testa che volevo tornare a casa, mi incaponii. Si offesero perdutamente». Il problema di Roberto con le diete e le cene è che a ogni cena lui annuncia di voler cominciare una dieta, dal sabato dopo. Con Paolo Sorrentino, per rimanere su uno dei più frequentati, lo fa sempre, e una settimana o dieci giorni dopo si rivedono e lui per non buttarlo giù «mi dice che forse sì, gli sembro già un po’ dimagrito, quattro chili almeno. A quest’ora dovrei essere un’acciuga. E io che mi ricordo il suo Andreotti al tapis-roulant nel Divo (mi dice anche che taglio meglio i capelli agli uomini, ma non è vero)». La magrezza gli fa provare un’irresistibile ammirazione per Fassino, portato da sua moglie Anna: «lo glielo dico, lui arrossisce, e sembra aver bisogno di protezione mentre sono io che ne vorrei, invece con questo fisico sembro corazzato». Ma gli intellettuali gli piacciono in generale, per lui che gli fa i capelli il fascino vero sta in quella testa lì. Un cliente e amico è Carlo Cecchi che lo porta a Prato per le prime degli spettacoli di Giovanni Testori. Negli anni 80 andò in analisi da Lucio della Seta, «alle 9 di sera dopo il lavoro, e anche se lui mi diceva che non ne avevo più bisogno, andavo, perché gli psicanalisti sono uomini fondamentali». Il primo suo estimatore fu Bernardo Bertolucci, anche lui vicino di casa: «Dove c’è Robertino c’è bellezza, mi diceva». D’Agostino lo conobbe non invitandolo a una festa per il libro di Francesca Marciano. Santoro gli piace perché lo trova «più umano di quanto sembri, sorprendente, un rivoluzionario vero (gli tolsi il famoso giallo della parrucca bionda e siamo diventati amici)». Anna Bonaiuto dice che «le piace venire da me perché le sembra di non essere uscita dal parrucchiere». Adora anche le donne antipatiche. La sinistra va da lui, un pochino di destra pure, ma in linea di massima lui non ci va a cena, eccezioni a parte. Giuliano Ferrara esce dal negozio e saluta con un «Tanto caro il mio Robertone», nel senso dell’affetto e dei prezzi. Poi se fosse una storia americana dovrebbe cominciare da Nepi, in provincia di Roma, da dove, fosse stato per lui, non si sarebbe mai mosso, «anche quando sono nato ci ho messo tanto a uscire». Forse il suo non sbracciarsi troppo è la cosa che attrae gli amici e rimbalza le cattiverie. Oltre al fatto che quando taglia i capelli suda stremato, chiunque abbia sotto le forbici. Una sua idea di democrazia. Con la musica è diverso. La musica da lui è dittatura, significa sentire ossessivamente lo stesso ed dalle casse Bang & Olufsen ben distribuite in tutto il negozio. Lo vedi dalle facce dei suoi dipendenti, in che fase melodica è. Cominciò, raccontano Adamo e Angelo, con la seppur magnifica «colonna sonora di Twin Peaks: 4 mesi, 100 anni di durata percepita. All’epoca Buddha Bar: 8 mesi, altri 100 anni» (la classica la ascolta a casa). «Ma i morti, li fa risuscitare nel negozio. Amy Winehouse, Whitney Houston, Lucio Dalla», ovviamente. Ah, ci sarebbero i megaeventi come le fiere internazionali del parrucchiere. Come quella volta a Londra lui e i suoi: «Il capo arriva al tornello, guarda dentro e: "Che confusione!"». Invertono direziono e vanno al mercato di Camden, poi al ristorante.