Michele Vollaro, il Fatto Quotidiano 28/3/2012, 28 marzo 2012
ANCHE LA GERMANIA SCIOPERA
Berlino
Per la seconda volta nel giro di meno di un mese, i lavoratori del pubblico impiego in Germania sono scesi in sciopero la settimana scorsa, paralizzando di volta in volta i servizi e l’amministrazione di interi Länder del paese. E ieri è toccato ai dipendenti degli aeroporti, bloccando centinaia di voli della Lufthansa. Da lunedì a venerdì centinaia di migliaia di dipendenti comunali, delle società municipali, regionali e statali hanno risposto all’appello dei sindacati, smentendo così di fatto quel cosiddetto ‘modello tedesco’ basato sulla cogestione e la contrattazione in ambito di impresa e garantendo in questo modo stabilità sociale e tutele per i lavoratori.
A incrociare le braccia sono gli iscritti del Ver.Di (Vereinte Dienstleistungsgewerkschaft), il colosso dei sindacati dei servizi, che raccoglie oltre 2 milioni di iscritti e che sta negoziando a livello federale il rinnovo dei contratti del settore pubblico, i cui salari sono congelati dal 2005 per mantenere il livello occupazionale.
Nelle capitali economiche del sud e del nord del paese, autobus e metropolitane non sono usciti dai depositi, chiusi asili nido, uffici pubblici, piscine e biblioteche comunali , insomma un po’ tutti gli enti e i servizi pubblici.
Per dare maggiore risalto alla protesta e cercare di mobilitare tutte le sue compagini regionali prima dell’avvio della prossima tornata di trattative previste per oggi e domani, il sindacato Ver.Di ha organizzato gli scioperi a scacchiera, sfruttando anche la sua struttura federale che ricalca quella amministrativa tedesca.
Il movimento, cominciato a inizio marzo con una settimana di scioperi a scacchiera in tutti i 16 Länder e che i sindacati hanno chiamato ‘Warnstreik’, cioè scioperi di avvertimento, rappresenta un fenomeno abbastanza inusuale in Germania, dove i sindacati preferiscono in genere prima negoziare e poi entrare in stato di agitazione qualora la trattativa attraversi una fase di stallo. In questa occasione i Ver.Di hanno preferito arrivare al tavolo dei negoziati forti di una mobilitazione già in atto. Nel corso della precedente tornata negoziale, i datori di lavoro pubblici (lo Stato federale, i Länder e le società controllate pubbliche) avevano proposto attraverso il ministro degli Interni, Hans-Peter Friedrich, un aumento del 3,3% spalmato nei prossimi mesi, oltre a un’indennità una-tantum di 200 euro per i lavoratori e di 40 euro per i tirocinanti.
Tuttavia con 10 anni di moderazione salariale alle spalle e gli stipendi del pubblico impiego congelati dal 2005, i sindacati si trovano costretti a non poter recedere dalla loro richiesta di un’indennità una-tantum di 200 euro per tutti, l’assunzione dei tirocinanti ed un aumento salariale del 6,5% almeno.
“Dobbiamo trovare un accordo entro la fine di marzo oppure la mobilitazione continuerà a crescere – ha detto il capo del sindacato Ver.Di, Frank Bsirske – Ho cercato di spiegare ai datori di lavoro che un aumento del 3,3% non è sufficiente, dopo i sacrifici accettati per ridurre la disoccupazione e sostenere la produzione industriale: ciò che serve ora è un riallineamento reale dei salari al costo della vita e se non mostreranno uno spirito costruttivo l’agitazione proseguirà e si estenderà”.
L’OBIETTIVO, in realtà, è proprio l’abbattimento del ‘modello tedesco’, tanto rinomato e ammirato all’estero. Negli anni passati, tanto in tempi di vacche grasse quanto in quelli di magra i sindacati tedeschi hanno infatti rinunciato a ottenere generosi aumenti salariali per i lavoratori, consentendo però alla Germania di rimanere a galla durante la recessione e successivamente di rimettersi in marcia con buone prospettive di crescita. Questo atteggiamento però si è lentamente modificato e si fa sempre più strada la richiesta di riequilibrare quegli squilibri acuitisi dall’inizio della crisi economica, che vedono i lavoratori dipendenti perdere potere d’acquisto e fasce continuamente più importanti della popolazione si avviano verso l’insicurezza economica.
Quindi alzare i salari e aumentare le garanzie per i lavoratori. Un pensiero portato avanti anche dal più importante sindacato tedesco, i metalmeccanici della IG Metall, che a metà febbraio avevano chiesto agli imprenditori di aumentare gli stipendi del 6,5% “per promuovere i consumi interni”, ma che trova consensi anche tra i membri del governo Merkel, come il ministro del Lavoro Ursula von der Leynen che qualche giorno fa ha detto: “È arrivato il momento che i lavoratori possano partecipare dei frutti della crescita economica”.