Francesco Sisci, Il Sole 24 Ore 28/3/2012, 28 marzo 2012
INFRASTRUTTURE E PORTI, MA ANCHE TITOLI DI STATO
La Cina che il premier Monti affronta in questo fine settimana a Pechino e poi alla conferenza asiatica di Bo’ao, all’estremo sud nell’isola tropicale di Hainan, è drasticamente diversa da quella dei suoi predecessori. Per Silvio Berlusconi o Romano Prodi il problema era come convincere aziende italiane spesso recalcitranti ad andare a investire in Cina, per Monti l’esigenza in realtà impellente è invece come convincere la Cina a investire in Italia.
Con le maggiori riserve monetarie del mondo infatti la Cina è potenzialmente il più grande “cliente” dei buoni del tesoro italiani, e già oggi, secondo alcune stime, Pechino potrebbe avere in portafogli fino al 10% del debito nostrano. Ma soprattutto, con un’economia cresciuta negli ultimi 30 anni del 10% l’anno, Pechino ha tutte le risorse per quegli investimenti diretti in aziende e infrastrutture italiane che servirebbero ad aiutare a far ripartire il paese dopo la recessione in corso. Qui in passato già Prodi aveva esplorato la possibilità, offrendo ai cinesi di investire nei porti italiani. In realtà, però, l’idea teoricamente ottima è stata un buco dell’acqua in concreto. Delegazioni cinesi sono venute più volte in Italia senza però riuscire a concludere o quando, contro ogni ostacolo, hanno investito, come è successo con il porto di Taranto, comprato al 50% dalla Hutchison Whampoa di Hong Kong (legatissima a Pechino), mille beghe, locali e non, hanno fatto naufragare il progetto. La Cina è innamorata dell’Italia per mille motivi, e Hu Jintao lo ha provato ieri a Seoul scegliendo di incontrare il premier italiano invece delle altre decine che facevano la fila per vederlo, e dichiarando la disponibilità cinese a investire in Italia. Il problema di Monti sarà allora come trasformare questa volontà di principio in realtà. Non si può partire da zero e i pragmatici cinesi sono scettici sulle idee non preparate. Qui Monti ha una grande risorsa nel suo governo.
Il ministero dell’Ambiente con Corrado Clini ha costruito un rapporto decennale di grande fiducia. Il ministero ha fatto in mezza Cina oltre duecento progetti che hanno creato un clima di grande fiducia a Pechino, elemento essenziale di ogni rapporto qui. La cooperazione ambientale italiana in Cina è la più grande di Pechino con qualunque altro paese al mondo, ed è di gran lunga la singola maggiore cooperazione italiana con la Cina. In questo ambito pare ci sia già una proposta concreta che il premier cinese Wen Jiabao vede con grande favore.
A tali investimenti potrebbe partecipare il fondo sovrano cinese (Cic) oppure anche il fondo che gestisce le riserve in valuta la Safe, oppure ancora le grandi banche, come l’attivissima Construction Bank of China o la Bank of China. Ma questi non sono attori indipendenti e autonomi e di fatto potranno agire solo se ricevono un forte segnale politico dai vertici.
L’altro aspetto cruciale sarebbe quello delle infrastrutture. I cinesi restano ancora molto interessati ai porti italiani e all’idea di riportare l’Italia a essere il terminale della via della seta, come era stata per secoli, grande ponte commerciale e culturale tra Asia ed Europa. Questo creerebbe la possibilità di fare rinascere la centralità del Mediterraneo, incrementando anche i passaggi da Suez, cosa che a sua volta aiuterebbe anche la stabilità dell’Egitto e quindi di tutto il Medio Oriente. Sarebbe una grande panacea. Accorcerebbe i tempi di consegna delle merci per Amburgo o anche Londra di giorni, rispetto alle attuali rotte circum-africane verso Rotterdam. Però per tutto questo occorre potenziare i porti italiani, specie quelli del sud, più vicini a Suez.
I cinesi sono pronti a investire a Taranto o a Gioia Tauro ma con una certezza di quello che vanno a comprare. Gli attori di tali acquisti possono essere grandi compagnie di trasporto come la Cosco, che già è entrata nel porto di Napoli, ma anche singoli porti come quello di Ningbo o Tianjin.
Per Monti e Corrado Passera si tratterebbe quindi, ove vi fosse interesse reale, di preparare dei pacchetti di misure concrete che permettano tali investimenti cinesi. Se non ci saranno offerte molto concrete l’interesse cinese è destinato a rimanere solo teorico.