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 2012  marzo 29 Giovedì calendario

LA MATTINA CON LAMA ALL´UNIVERSITÀ



Il giubbotto di renna sdrucito, la barba incolta, la moto, una fantastica "Honda 350" verde che coccolava quasi quanto i suoi cani. Il mio primo ricordo di Carlo Rivolta è quello di un´icona degli anni ´70, tutto quello che avrei voluto essere e che mi sembrava totalmente irraggiungibile. Pochi incontri sono legati a una data precisa ma non il nostro: 11 aprile 1975, il mio primo giorno di lavoro a Paese sera: volontario diciannovenne varcai il portone di via dei Taurini con l´emozione di chi arriva nel posto che ha sognato fin dall´infanzia. Il primo servizio me lo assegnò proprio lui: «Nel week-end scioperano i cinema: fai una ventina di telefonate a caso, chiedi i loro programmi alternativi». Il parere della gente, le interviste sul campo: allora funzionava così.
Giornalismo e militanza, un binomio quasi inscindibile per la stampa di sinistra in quegli anni di furori, scoperte, drammi personali che tracimavano nel politico e viceversa. Carlo faceva di più, era di più: si calava nelle storie con tutto se stesso, soffrendo tormenti individuali di cui molti di noi non riuscivano a intuire la profondità. Giorni senza respiro, con la chiusura alle 3 di notte: le discussioni interminabili, le inchieste di strada, i primi bagliori del terrorismo che ci destabilizzarono completamente. Carlo impersonava la corrente libertaria, extraparlamentare, in contrasto sempre più aspro con la direzione e l´editore. Raccontò l´eroina come nessuno aveva fatto prima ma pagò un prezzo atroce perché ci rimase agganciato. Il suo passaggio a Repubblica ci sembrò una follia, ma una follia inevitabile.
Il 17 febbraio del 1977, quando gli studenti e gli "indiani metropolitani" cacciarono a sprangate Luciano Lama dall´Università eravamo su fronti opposti: noi arroccati nella redazione difesa da un cordone di tipografi armati di bastoni "Stalin", lui con gli studenti a cercare di capire. La lettura delle sue straordinarie cronache su Repubblica, per molti della mia generazione, fu la prima crepa di dubbio, quasi un bagno di autocoscienza.
Lo incontravo alle manifestazioni punteggiate di spari, sui luoghi degli agguati di Nar e Br, con l´asfalto disseminato di bossoli che tutti calpestavano senza ritegno, sempre più scarno, sempre più dolente, stropicciato nell´anima. Era brusco fino all´aggressività ma con me, nerista affannato sempre in bilico tra questura e via Botteghe Oscure, mantenne sempre un atteggiamento paterno, protettivo, nonostante avesse solo sei anni di più. Vederlo pochi mesi prima di morire, quando aveva lasciato la Repubblica per Lotta Continua, fu uno shock: era l´ombra di se stesso, curvo e sfuggente in un cappotto grigio troppo largo. Il 17 febbraio 1982 il giornale mi mandò in via dei Prestinari, dopo il suo volo mortale: non è l´unico degli amici di cui ho raccontato la morte ma, di sicuro, quello che mi ha straziato di più.